Dopo le polemiche, è arrivata la retromarcia del governo. Il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha annunciato che per le elezioni comunali si voterà solo domenica 5 giugno e non più domenica 6, come fatto trapelare dal governo. Anche per il referendum sulle riforme costituzionali in calendario a ottobre le urne saranno aperte per un solo giorno. “Di fronte a tante polemiche pretestuose e strumentali,  sia riguardo i costi sia riguardo a chissà quali strategie occulte che sarebbero state alla base di questa mia iniziativa, valuto opportuno lasciare le cose così come stanno” ha spiegato il capo del Viminale. 

 

Cinquecento milioni. Trecento (costo di una singola tornata elettorale) per il 17 aprile, 100 per il giorno di voto in più a giugno, altri 100 per le 24 ore in più in cui le urne rimarranno aperte per il referendum di ottobre. E’ il sovraccosto che gli italiani pagheranno per la decisione del governo di evitare l’election day tra le amministrative e al consultazione sulle trivelle e raddoppiare i giorni di voto per le comunali del 5 (cui ora si aggiunge anche il 6) giugno e per la chiamata referendaria autunnale con la quale Matteo Renzi ha chiamato gli italiani ad esprimersi sulle riforme costituzionali. Trasformandola nella ricerca di un plebiscito sulla propria persona.

Accorpare il voto sulle trivellazioni e le amministrative non conveniva: il referendum, nelle intenzioni del premier arrivato addirittura ad auspicare l’astensione, doveva fallire e far votare gli italiani nello stesso giorno in cui sarebbero stati chiamati a scegliere i loro sindaci avrebbe aumentato le possibilità di raggiungimento del quorum. Ora conviene, invece, trovare una contromisura all’astensionismo, soprattutto in vista di ottobre: il fronte del “No” alle riforme, si sa, è più motivato di quello del “Sì”, meglio quindi tenere le urne aperte 24 ore in più per consentire ai favorevoli alle modifiche della Costituzione di recarsi ai seggi con più calma: in gioco c’è il prosieguo del mandato, come il premier ha specificato ogni volta che ha potuto.

Così oggi, con un decreto legge atteso oggi in Consiglio dei ministri, a sole 3 settimane dal voto, Palazzo Chigi allungherà l’apertura delle urne per consentire di votare alle elezioni comunali anche lunedì 6 giugno oltre che domenica 5; ed anche lunedì 20 giugno, oltre al 19, per i ballottaggi. Ma Angelino Alfano ha già dato un’indicazione chiara anche per l’appuntamento autunnale: “Mi sembra giusto che per il referendum di ottobre, che può realizzare la più grande riforma dopo la Costituente, si voti anche il lunedì”, spiegava domenica il ministro dell’Interno in un’intervista a L’Arena di Verona.

Come si arriva alla cifra di 500 milioni? Così: una singola giornata elettorale, la domenica, quando tutti gli aventi diritto sono chiamati alle urne, costa 300 milioni di euro: il prezzo pagato per la consultazione del 17 aprile. Ogni giorno in più in cui i seggi restano aperti, calcola La Repubblica, costa 100 milioni. L’allungamento dei tempi per il voto, per contrastare quell’astensionismo che per le trivellazioni il premier aveva auspicato, costerà quindi mezzo miliardo di euro in più. Proprio mentre lo stesso governo sta trattando con Bruxelles la flessibilità sui conti per il 2017.

Il primo a schierarsi contro la decisione del ticket Palazzo Chigi-Viminale era stato Enrico Letta: “Mi chiedo proprio il senso di questo cambiamento – spiegava l’ex presidente del Consiglio a La Repubblicacosta molto. Dovunque in Europa si vota in un solo giorno”. “Tornare indietro? Voto in due giorni? Costa 120mln e tutti votano in un giorno solo. Si eviti questo ulteriore sfregio“, ha raddoppiato quindi su Twitter l’ex premier.

L’opposizione affila le armi: “Giudichiamo positivamente la possibilità di votare in due giorni tanto alle elezioni amministrative di giungo quanto al referendum costituzionale del prossimo ottobre – scrive su Facebook Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera  – peccato che questa incredibile retromarcia sia del tutto strumentale e non sia fatta dal presidente del Consiglio per favorire la democrazia o la partecipazione, ma con il solo scopo, secondo lui, di portare acqua al suo mulino. Il premier ha paura, e crede che votando in due giorni, con una probabile diminuzione dell’astensionismo, il ‘sì’ possa essere favorito. Si sbaglia di grosso”.

Anche la minoranza dem prova a farsi sentire: “Scandalosa la proposta di allungare le giornate legate al voto – scrive su Twitter il deputato Davide Zoggia – ha ragione @EnricoLetta questo Paese non cambia mai”. “Mi chiedo come fa Renzi a giustificare tante parti in commedia – commentava in mattinata Miguel Gotor – un mese fa sulle trivelle ha detto ‘andate al mare’, adesso con il raddoppio della data manda il messaggio contrario: andate a votare. Non so se al popolo italiano fa piacere sentirsi dire come si deve comportare a seconda delle situazioni“.

Non è la prima volta. Se per evitare il raggiungimento del quorum al referendum del 17 aprile il premier ha fatto in modo di evitare l’election day con le comunali, da sindaco di Firenze aveva un’opinione diversa: ”Credo che in questo momento abbia più senso fare un election day che non andare a votare a distanza di 3 mesi per istituzioni diverse”, spiegava Renzi, da candidato alle primarie del centrosinistra, il 17 novembre 2012 in una conferenza stampa a margine della convention alla Stazione Leopolda. Sul punto specifico, aggiungeva, ”decide il presidente della Repubblica”.

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