A Vienna gli sforzi internazionali per stabilizzare la Libia devastata dalla guerra civile e alle prese con l’espansione dello Stato Islamico sono al centro di una conferenza ministeriale presieduta dal segretario di Stato americano John Kerry e dal ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni. Al vertice partecipano i ministri degli Esteri e alti rappresentanti di una ventina di Paesi occidentali e arabi, e quattro organizzazioni internazionali. Il governo di unità libico è rappresentato dal presidente del Consiglio presidenziale nominato dall’Onu, Mohamad Fayez Al Sarraj, che da marzo scorso cerca di mantenere la sua autorità nel Paese. E, a sorpresa, secondo il sito Al Wasat anche il presidente della camera dei rappresentanti libica (parlamento di Tobruk) Aguila Saleh ha annunciato che sta partendo all’improvviso per la capitale austriaca. Saleh aveva convocato per i prossimi giorni una riunione del parlamento di Tobruk, alla quale chiedeva partecipassero i componenti del Consiglio presidenziale che hanno nominato il governo d’intesa nazionale, per proporre modifiche che includessero anche altri gruppi libici.
I Paesi partecipanti, si legge nella bozza del documento finale, sono disponibili a favorire un percorso di alleggerimento dell’embargo sulle armi al governo di Al Sarraj. Che in un’intervento sul Daily Telegraph ha chiesto nuovamente alla comunità internazionale la fine dell’embargo e ha ribadito quanto già chiesto nelle ultime settimane: “Niente boots on the ground“, niente truppe di terra occidentali contro l’Isis in territorio libico: “I terroristi saranno sconfitti dalle nostre forze armate e non da milizie rivali”. Gli occidentali saranno i benvenuti, invece, se vorranno addestrare le truppe di Tripoli.
“Stiamo lavorando in modo da essere in grado di addestrare ed equipaggiare le forze militari libiche così come ci chiede il governo Sarraj”, ha confermato Paolo Gentiloni. “Il messaggio che arriva oggi da Vienna è che la Libia rimane unita – continua il capo della diplomazia italiana – non si alimentano divisioni, i libici combatteranno il terrorismo e non ci sarà un intervento straniero di terra. Il governo Sarraj sarà il protagonista di questo processo di stabilizzazione”.
Non è un caso che il governo italiano, promotore del vertice viennese insieme a quello statunitense, abbia annunciato tramite il Corriere della Sera che l’Italia non prevede l’invio di soldati prima di una effettiva stabilizzazione. “Troppo alti sono i rischi – scrive il quotidiano di via Solferino – troppo forte il pericolo che i reparti stranieri diventino bersagli di attacchi”. Un accorgimento diplomatico che sottolinea la volontà di Roma di continuare a rivestire il ruolo di principale interlocutore di Tripoli nella partita libica.
“L’Italia ha sempre detto che per stabilizzare la Libia bisogna chiedere ai libici come fare”, ha commentato il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, che in una conferenza all’Ispi ha osservato che in “passato si è visto che la robustezza militare importata e vissuta come uno sfregio all’orgoglio di un Paese ha alimentato i fenomeni di terrorismo“.
L’Occidente ha il dovere di aiutare la Libia, ha detto ancora Al Sarraj, che ha sottolineato come il Paese si senta abbandonato dalla comunità internazionale dopo l’intervento militare per rovesciare il regime di Muammar Gheddafi. Il nemico peggiore, ha proseguito il premier designato del governo di unità voluto dall’Onu e insediato a Tripoli nella base militare di Abu Sittah, non è rappresentato dall’Isis ma dalle divisioni nel Paese e che solo l’unità nazionale permetterà di uscire da anni di difficoltà.