Estendere la platea dei beneficiari fino ai redditi da 55mila euro e prevedere un indennizzo al 99% per chi guadagna meno di 18mila euro l’anno. Sono queste le richieste presentate dall’Associazione vittime del salva-banche rispetto al recente decreto del governo che prevede i rimborsi per i risparmiatori truffati. Il provvedimento è ora in esame alla commissione Finanze del Senato, che ha ascoltato in audizione i rappresentanti dell’associazione. “Lo scopo di fondo delle modifiche proposte – spiega la presidente, Letizia Giorgianni– sta nell’equo allargamento della base di rimborsi diretti, in modo da non creare paradossi”.
Il decreto varato dal governo a fine aprile prevede un rimborso forfettario fino all’80% della cifra investita, senza bisogno dell’arbitrato presso l’Autorità nazionale anticorruzione, per chi ha un reddito lordo inferiore a 35mila euro ai fini Irpef o un patrimonio mobiliare di valore inferiore a 100mila euro. L’Associazione vittime del salva-banche ricorda che, secondo quanto prevede il decreto legge, bastano 1.000 euro di reddito superiori alla soglia fissata per non aver diritto al rimborso diretto. Propone quindi di introdurre un rimborso progressivo, che prevede tre scaglioni: al 99% per i redditi fino a 18mila euro, all’80% per i redditi fino a 35mila euro, al 75% per i redditi fino a 55mila euro.
In caso di dossier titoli cointestati, secondo l’associazione, bisogna tener conto del numero dei cointestatari. Proposto anche un ulteriore strumento per gli esclusi: la possibilità di accedere a un indennizzo tramite titoli zero coupon, cioè senza cedola, a dieci anni. Infine l’associazione chiede di estendere la possibilità di andare all’arbitrato anche agli azionisti delle banche in risoluzione.
E anche le imprese non mancano di sollevare critiche nei confronti del decreto sui rimborsi. “I provvedimenti contenuti – ha spiegato l’associazione Confapi, anch’essa ascoltata in audizione al Senato – sembrano unidirezionalmente concepiti per garantire ulteriormente il recupero del credito erogato dalle banche piuttosto che per favorire l’accesso alle risorse da parte delle pmi, che paradossalmente rischiano di trovarsi in una situazione peggiore del passato“.