Mai come in queste elezioni amministrative la destra è tornata protagonista, anche se divisa in sostegno di 4 candidati diversi
La destra estrema nella Capitale è da sempre ben radicata. Basta girare in certi quartieri, come il Trieste o la Cassia, naturalmente Roma nord, per trovare sui muri fiamme, croci celtiche e frasario che riporta agli anni Settanta. “I fascisti amano il calendario”, diceva Ennio Flaiano per sottolineare quanto alla destra piace ricordare i propri morti. E così sui muri della città eterna s’incontrano spesso nomi come Paolo Di Nella e Mikis Mantakas, alcuni dei loro morti degli anni di piombo che, nei giorni comandati, vengono celebrati con presìdi e braccia tese.
Forse mai come in queste elezioni comunali, però, la destra è tornata protagonista del dibattito tra i candidati impegnati nella corsa al Campidoglio. Nemmeno quando, nel 2008, vinse Gianni Alemanno il dibattito si era così tinto di nero. Basti dire che sono quattro i partiti che si possono definire di destra. Quello di Francesco Storace, che ha scelto di appoggiare Alfio Marchini, Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, Casa Pound, che ha candidato a sindaco Simone Di Stefano, e il Trifoglio di Alfredo Iorio, uno dei leader della storica sezione missina di via Ottaviano, nel quartiere Prati, dove nel 1975 fu ucciso Mantakas. Proprio Casa Pound, reduce dall’exploit a Bolzano (6,6%), sabato sarà protagonista di un corteo in città che qualcuno ha già ribattezzato “marcia su Roma”.
Mentre in questi giorni sono stati al centro dell’attenzione per un paio di scontri con gruppi dei centri sociali. La notorietà nazionale, però, più che Bolzano gliel’ha regalata Maria Elena Boschi affermando, rivolta alla sinistra Pd, che “chi vota no al referendum assomiglia a quelli di Casa Pound”. “Le invieremo un mazzo di rose per la pubblicità gratuita che ci ha fatto”, ha commentato Di Stefano, che sta battendo la periferia romana fino a Ostia inneggiando al “mutuo sociale” e alla chiusura dei campi rom. “Arrogante, xenofobo, populista”, lo slogan dei suoi manifesti con la tartaruga che hanno invaso Roma. Una faccia forse più presentabile del leader storico Luca Iannone, che preferisce muoversi dietro le quinte. Casa Pound sta cercando un suo spazio dopo la rottura con Salvini e Meloni, ormai considerati traditori. Un classico refrain della destra, oltre al menare le mani: avere sempre un traditore con cui prendersela.
Ma lo scontro si è infiammato anche per la candidatura delle due sorelle Mussolini, figlie di Romano (il jazzista, figlio del Duce), ma di madri diverse: la più nota Alessandra, capolista di Forza Italia a sostegno di Marchini, e Rachele (che porta il nome di sua nonna), che invece si presenta con Fratelli d’Italia. “Non ci siamo mai frequentate molto, non ci conosciamo poi così tanto, ma ci rispettiamo”, ha detto Rachele del suo rapporto con Alessandra. Mussolini, però, è stato tirato in ballo anche da Marchini. “Il Duce, come ha sempre detto mio nonno, è stato un grande urbanista”, ha detto l’ex palazzinaro rosso. Uscita per aprirsi simpatie a destra da parte dell’ex costruttore rosso? Chissà. Le sue parole, però, hanno dato il via a polemiche a non finire, anche sui social, sui meriti del “Mussolini urbanista”. Con disamine articolate sul valore architettonico dell’Eur, di via dei Fori Imperiali, di via della Conciliazione, del Foro Italico e di tanti altri esempi dell’architettura razionalista del Ventennio, opere progettate da Marcello Piacentini. Poco prima, invece, sempre Marchini, parlando dell’alleanza con Storace, aveva definito l’ex governatore “un fascista vero, autentico, de core”, forse per differenziarlo dagli altri. Marchini poi si è schierato contro campi rom e unioni civili, tutte virate a destra forse mirate a portar via voti alla Meloni.
“Non mi chiedete di diventare anti-fascista”, ha sottolineato invece Storace, che, sotto il segno di Marchini, ha ritrovato al suo fianco parecchi ex camerati, su tutti Gianfranco Fini e Gianni Alemanno, con cui i rapporti erano interrotti da anni. Oggi, complice anche la presentazione del libro dell’ex sindaco di Roma, sono tornati grandi amici. Insomma, tutto quello che era l’ex mondo di Alleanza nazionale sotto il Cupolone è diviso tra Marchini e Meloni. Compresi i due eterni rivali della destra romana: Andrea Augello (con Marchini) e Fabio Rampelli (con Meloni). Proprio la Meloni, invece, subito ribattezzata “pancetta nera” per la sua imminente maternità, ha cercato di mimetizzare i suoi anni di militanza nel Fronte della Gioventù, ma i militanti della Garbatella si ricordano bene quando “quella ragazza biondina che bussò alla porta della sede missina”, desiderosa di fare politica in quartiere che più rosso non si può.
Poi c’è Iorio, che ha riempito la città di manifesti neri che ricordano quelli dell’Isis. “Fermiamo gli alieni”, recita lo slogan riferito alle forze del male – ovvero gli altri candidati – che vorrebbero mettere le mani sulla Capitale. Sui social di destra in questi giorni si è rivisto pure il ritornello del “quando c’era lui”: la città era pulita, si era orgogliosi di essere romani, tutto funzionava, non c’erano gli zingari e via discettando. “Perché noi abbiamo fatto l’Eur, col palazzo della civiltà e tutto il resto, mica quella caccoletta della Nuvola di Fuksas”, si legge tra i commenti delle pagine Fb destrorse. Così, se la campagna delle elezioni milanesi è più orientata al futuro, a Roma ci si volta indietro ammiccando al passato. E sabato prossimo per le strade del centro, insieme ai jeans griffati e alle sneakers modaiole, ricompariranno pure le camicie nere.