Pubblicato il decreto di rifinanziamento, 124 milioni coperti con la tassa sul credito d’imposta alle banche. Aumentano i fondi per l'Iraq, ma non c’è traccia della spedizione militare, già decisa, a protezione della diga di Mosul. Spending review: 16 milioni in meno per la cooperazione
Finalmente, con quattro mesi di ritardo, è stato pubblicato il decreto di rifinanziamento delle missioni militari all’estero per l’anno 2016, approvato in Consiglio dei ministri lo scorso 29 aprile. La spesa complessiva, come preannunciato dal ministro della Difesa Pinotti, è in linea con quella dell’anno scorso: un miliardo e 272 milioni (l’anno scorso era stato un miliardo e 255 milioni), ma il decreto presenta alcune sorprese. Una riguarda le coperture finanziare, raggranellate in parte (124 milioni) dalla tassa sul credito d’imposta alle banche come previsto dal “decreto banche” approvato all’inizio di maggio. L’altra riguarda Iraq, Libia e Turchia.
Nel decreto, infatti, non c’è traccia della spedizione militare, già decisa, a protezione della diga di Mosul – a due passi dalle postazioni dell’Isis – dove nei prossimi mesi verranno schierati 500 soldati della Brigata meccanizzata “Aosta” con blindati e artiglieria: un dispositivo che potrebbe assumere un ruolo di combattimento, soprattutto considerato il contemporaneo invio nella vicina Erbil di quattro elicotteri da attacco Mangusta, sulla carta destinati solo a scortare le missioni di recupero feriti in prima linea condotte dagli elicotteri Nh-90. L’aumento del costo della missione irachena (dai 200 milioni del 2015 ai 236 milioni del 2016) riguarda infatti solo l’impiego di questi velivoli (con relativo personale di 130 uomini): l’operazione Mosul farà raddoppiare il costo della missione irachena.
Per quanto riguarda la Libia, nel decreto non si fa cenno – come prevedibile – alla missione segreta delle forze speciali italiane decisa da Renzi il 10 febbraio, ma in compenso è stato quasi quadruplicato lo stanziamento per la forza navale italiana già schierata davanti alle coste della Tripolitania nell’ambito dell’operazione nazionale “Mare Sicuro”: dai 24 milioni del 2015 si passa a oltre 90 milioni di euro. E’ evidente che si prevede un maggiore impegno di navi (attualmente cinque) e uomini (un migliaio, compresi fucilieri e incursori di Marina). Da notare anche un aumento dei fondi, da 60 a 70 milioni, per la missione navale europea anti-scafisti EunavorMed/Sophia, che impegna la portaerei Cavour, un sommergibile, elicotteri, droni e 620 uomini. Senza dimenticare la missione navale della Nato nel Mediterraneo, Active Endeavour, cui l’Italia partecipa con la fregata missilistica “Bersagliere”, più altri assetti aeronavali su richiesta, e che anche quest’anno costerà una ventina di milioni.
Dal decreto emerge anche un nuovo impegno militare italiano in ambito Nato, questa volta in funzione anti-russa. Alla partecipazione della nostra aeronautica al pattugliamento dei cieli della Lituania e degli altri Paesi baltici (costo 2016, circa un milione di euro), si aggiunge infatti un sostanzioso contributo (7 milioni di euro) per la partecipazione alla missione Nato “Active Fence” in Turchia, che ha lo scopo di proteggere lo spazio aereo turco da intrusioni aeree siriane, ma soprattutto russe. Da mesi circola la voce che l’Alleanza atlantica, dopo il ritiro dei missili Patriot americani e tedeschi, abbia chiesto all’Italia di schierare nel sud della Turchia le nostre batterie missilistiche antiaeree Samp/T.
Confermato l’impegno finanziario per la missione in Afghanistan (180 milioni, solo 5 milioni meno dell’anno scorso), effetto della decisione, presa su richiesta americana, di bloccare il ritiro da quel fronte e di mantenere ad Herat quasi mille soldati italiani. Un impegno, quello afgano, che anche quest’anno supera ampiamente i 300 milioni se si contano anche i costi delle strutture italiane di comando nel Golfo (19 milioni di euro), l’oneroso finanziamento italiano all’esercito afgano deciso dal governo Monti (120 milioni di euro l’anno, fino al 2017) e le spese logistiche di trasporto (buona parte dei 76 milioni di euro stanziati dal decreto per tutte le missioni). Per la cronaca: 15 anni di missione in Afghanistan ci sono costati finora 6 miliardi di euro, una media di oltre un milione di euro al giorno.
Le altre missioni rifinanziate dal decreto sono Libano (155 milioni, 1100 uomini), Kosovo (80 milioni, 550 uomini), anti-pirateria nell’Oceano Indiano (28 milioni con un una nave e 180 uomini), Somalia (25 milioni con 110 uomini), Albania (5,8 milioni con 48 uomini), Palestina (3 milioni con 45 uomini), Mali (3 milioni con 30 uomini), Baltico (1 milione per sorveglianza aerea in funzione anti-russa), Bosnia (0,3 milioni con 5 uomini) e Cipro (0,2 milioni con 4 uomini).
Duole registrare infine che, a fronte della costanza degli stanziamenti militari, il decreto taglia i fondi alla cooperazione internazionale. Per “migliorare le condizioni di vita della popolazione e dei rifugiati e a sostenere la ricostruzione civile in favore di Afghanistan, Etiopia, Repubblica Centrafricana, Iraq, Libia, Mali, Niger, Myanmar, Pakistan, Palestina, Siria, Somalia, Sudan, Sud Sudan, Yemen e, in relazione all’assistenza dei rifugiati, dei Paesi ad essi limitrofi, nonché per contribuire a iniziative europee e multilaterali in materia di migrazioni e sviluppo” nel 2015 erano stati stanziati 106,5 milioni, quest’anno solo 90 milioni.