La prima iniziativa del genere in Italia è nata a Genova: "L'obiettivo è abbattere qualche muro e affrontare un problema che riguarda tutti, compresi gli operatori delle forze dell'ordine"
Quando si verifica un reato sono i primi a intervenire, ma anche i poliziotti possono subire discriminazioni. Ed è per questo che a Genova è nato il primo sportello antiomofobia d’Italia rivolto alle donne e agli uomini in divisa. “L’obiettivo – spiega Evelina Argurio, responsabile dell’iniziativa – è abbattere qualche muro e affrontare un problema che riguarda tutti, compresi gli operatori delle forze dell’ordine”. Lo sportello, aperto dal sindacato di polizia Silp Cgil, è un punto di ascolto a cui i poliziotti possono rivolgersi qualora dovessero venire discriminati in virtù del proprio orientamento sessuale, oltre che, ad esempio, sulla base del genere, dell’età o di un handicap. “Perché le discriminazioni, soprattutto all’interno delle forze armate e dei corpi militari, dove le rappresentanze sindacali non sono presenti, esistono e sono molto forti” spiega Daniele Tissone, segretario del sindacato.
Ma oltre a fornire supporto psicologico e legale alle vittime in divisa, lo sportello sarà anche un luogo dove fare formazione. “Affinché chi porta un distintivo possa imparare al meglio a intervenire in caso di crimini legati all’odio, compresi gli episodi di omotransfobia – sottolinea Argurio – Le forze dell’ordine sono le prime a raccogliere le segnalazioni dei cittadini ed è fondamentale che siano adeguatamente preparate, anche riguardo alle tematiche antidiscriminatorie”. Anche perché, precisa Argurio, in Italia bisogna fare i conti con la mancanza di una legge nazionale contro l’omotransfobia, che ha una duplice ripercussione. “Prima di tutto limita l’intervento della polizia, che in casi simili avrebbe bisogno di applicare una normativa che però non c’è. Un paradosso visto che di hate crimes, cioè crimini dell’odio, legati anche all’orientamento sessuale delle vittime, in Italia ce ne sono, eppure chi dovrebbe prevenire o intervenire non ha gli strumenti per farlo”.
E poi c’è il problema delle denunce. “La mancanza di una normativa specifica e una scarsa informazione e consapevolezza circa le problematiche lgbt – racconta Tissone – fanno sì che le persone gay, lesbiche, bisessuali e transessuali raramente si rivolgano alle forze dell’ordine a seguito di violenze fisiche e verbali, aggressioni e episodi di mobbing, che avvengono soprattutto in ambiti quali la famiglia, la scuola e il lavoro”. Nello specifico, secondo i dati forniti dall’Unione Europea e dall’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, l’89 per cento delle vittime di comportamenti discriminatori legati all’orientamento sessuale preferisce rivolgersi alle associazioni lgbt, mentre solo l’11 per cento chiede aiuto alle forze dell’ordine.
“In più, come nel caso di altre tipologie di crimini dell’odio, ad esempio contro le donne, solo una minoranza delle vittime denuncia quanto ha subito”. A confermarlo è il report stilato da Arcigay in occasione della Giornata internazionale contro omofobia, transfobia e bifobia che si celebra il 17 maggio. In Italia, in un anno, gli episodi di omotransfobia finiti sui giornali sono stati 104, “il che significa – spiega l’associazione – che questo dato è solo la punta dell’iceberg, e che moltissimi altri casi non sono mai stati denunciati, oppure non sono passati attraverso i mass media”.
Ma lo sportello di Genova serve, dice Argurio, a “lanciare un messaggio alla politica, perché si approvi finalmente una legge nazionale contro l’omotransfobia, ma vorremmo anche abbattere quel muro di diffidenza che separa le associazioni lgbt dalla polizia, per incoraggiare chi ha subito una discriminazione a sporgere denuncia. A oggi i dati ci dicono che c’è qualcosa che non va nel nostro sistema, e bisogna cambiarlo. Speriamo che l’esperienza ligure venga esportata anche in altre città d’Italia, per portare avanti quel tanto atteso cambiamento culturale avviato dall’approvazione della legge sulle unioni civili”.