Nelle carceri italiane potrebbero presto arrivare le ‘love rooms‘, tecnicamente spazi per la cura degli affetti, che metterebbero fine alla ‘pena accessoria di fatto‘ consistente nella negazione della sessualità ai detenuti. La novità è introdotta nel ddl di riforma del processo penale in discussione alla Commissione Giustizia del Senato. Diverse le proposte andate a vuoto negli ultimi 30 anni, ma questa potrebbe essere la volta giusta. Ne è convinto l’ex magistrato Felice Casson, relatore del testo, secondo il quale il ddl potrebbe essere approvato in aula prima dell’estate.

In generale il provvedimento delega il governo a effettuare modifiche al codice penale e al codice di procedura penale “per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi” e, nello specifico, all’ordinamento penitenziario “per l’effettività rieducativa della pena”. E se il Sappe, sindacato di polizia penitenziaria, ha già annunciato l’opposizione al provvedimento, l’associazione Antigone accoglie in modo positivo la novità. “Sono anni che spingiamo perché questo accada – ha spiegato a ilfattoquotidiano.it il presidente Patrizio Gonnella – non solo per garantire il diritto del detenuto, ma anche quello dei suoi cari”.

L’articolo 31 del ddl in esame – La possibilità di prevedere le “love rooms” è contenuta nell’articolo 31 del provvedimento: lo spirito è quello di favorire norme che considerino i diritti e i bisogni sociali, culturali, linguistici, sanitari, affettivi e religiosi dei detenuti. “Si tratta di un campo, come molti altri, sul quale siamo molto arretrati rispetto al resto dell’Europa” ha dichiarato all’Adnkronos Felice Casson, che nella sua lunga esperienza di inquirente aveva già avuto modo, negli anni ’80, di visitare le carceri spagnole di massima sicurezza. “E lì venni a conoscenza – ha ricordato – di luoghi dedicati ai rapporti affettivi dei detenuti”. Di fatto in altri Paesi quello alla sessualità è un diritto garantito già da molti anni nell’ambito della pena come rieducazione.

Il confronto con gli altri Paesi – Su 47 Stati del Consiglio d’Europa, sono attualmente 31 quelli che autorizzano con differenti modalità e strumenti le visite affettive ai detenuti. Tra questi Olanda, Germania, Danimarca, Spagna e Portogallo. Come ricorda Mauro Palma, presidente del collegio del Garante del detenuto (ed ex presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura), l’intimità negata dalle condizioni carcerarie viene autorizzata “sotto varie forme che a volte cambiano anche all’interno dello stesso Paese”. In alcuni sono previsti anche spazi per bambini e la possibilità di passare un intero week end all’interno del carcere. Di fatto ‘visite affettive’ sono previste anche in diversi Paesi dell’Est, anche se spesso le condizioni delle strutture in questione lasciano a desiderare.

L’associazione Antigone e il Sappe – “Si tratta di assicurare riservatezza nell’affettività, un diritto sacrosanto che nei paesi laici, non ossessionati dal tabù del sesso, viene garantito serenamente” ha spiegato a ilfattoquotidiano.it Gonnella. Secondo cui “è solo una questione di organizzazione”. Per il presidente di Antigone è un passo necessario da compiere anche nel rispetto dei diritti dei familiari dei detenuti: “La carcerazione non deve costringere una moglie all’astinenza, né deve diventare un invito al tradimento e all’adulterio”. Un invito ad essere pragmatici quello di Gonnella. “D’altro canto – ha sottolineato – qualunque sessuologo o psichiatra potrebbe confermare gli effetti negativi di questo tipo di proibizione sulla salute, sulle tensioni e, di conseguenza, sull’aumento di episodi di violenza nelle carceri“. Contrario, invece, Daniele Capece, segretario generale del Sappe, il sindacato di polizia penitenziaria. “Ci opporremo in tutti i modi perché questo provvedimento diventi realtà” ha dichiarato a Il Tempo. “Esistono i permessi premio – ha detto – durante i quali è possibile vivere la propria affettività”. E poi c’è anche l’aspetto della sicurezza: “Il detenuto si chiude lì dentro da un minimo di 12 a un massimo di 24 ore e non c’è nessuno che possa verificare cosa accada realmente tra quelle mura”.

L’analisi del garante – L’argomento è stato al centro di un acceso dibattito anche nel corso dei recenti Stati generali dell’esecuzione penale, convocati dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando. È stata affrontata anche la questione legata alla necessità di modifiche normative per introdurre un nuovo istituto giuridico della ‘visita’ (diverso dal ‘colloquio’, già garantito dal legislatore), incontri privi del controllo visivo e auditivo da parte del personale di sorveglianza. “Quando nel 2000 si tentò di inserire nel regolamento queste visite – ha ricordato Mauro Palma – il Consiglio di Stato disse no, chiedendo però delle modifiche alla normativa vigente”. Solo una legge può modificarne un’altra, non un regolamento. Se l’opposizione al principio delle visite parte dal  principio secondo il quale si potrebbero potenziare i permessi, per il garante questa logica non considera la vita sessuale come parte integrante dell’esistenza umana, né il fatto che si renderebbe “meno esplosiva la vita del carcere”. E comporta tre contraddizioni. “I permessi sono dei premi mentre non si possono considerare le funzioni fisiologiche come dei premi; i permessi possono essere dati solo a chi sconta condanne definitive, ne verrebbero privati i detenuti in custodia cautelare; per alcuni reati, infine, è prevista il divieto di concedere permessi”.

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