Il magistrato in aula al termine della requisitoria: "Ha voluto arrecare dolore e ci è riuscito con un'agonia lunga". Oltre alla prova del dna, ha aggiunto l'accusa, c'è "un corollario significativo di indizi"
Il pm di Bergamo Letizia Ruggeri ha chiesto la condanna all’ergastolo con isolamento diurno per 6 mesi per Massimo Bossetti, accusato dell’omicidio della 13enne di Brembate di Sopra Yara Gambirasio. Bossetti, ha spiegato la Ruggeri, non merita “nessun tipo di attenuanti, neanche generiche”. Tra le altre ragioni c’è che il muratore “agì con crudeltà ed efferatezza” aggiunge il magistrato. L’imputato “ha voluto arrecare particolare dolore e ci è riuscito con un’agonia particolarmente lunga ha ecceduto” contro la vittima cagionandole “sofferenze eccessive” fino ad arrivare “efferatezza”. “Abbandonandola in quel campo – ha aggiunto – si è causata volontariamente la morte” della ragazzina.
Non c’è un movente, secondo la Procura, ma questo “non dà meno significato” all’impianto dell’accusa in quanto Bossetti avrebbe dato “più volte dimostrazione di incapacità di controllarsi“. La stessa incapacità, a detta del pm, dimostrata nel 2002 dal camionista Roberto Paribello che uccise la praticante commercialista Paola Mostosi. L’uomo, che poi fu condannato definitivamente all’ergastolo, agì dopo che, lungo l’autostrada A4, ebbe un banale incidente con l’auto guidata dalla giovane: fermatisi a una piazzola di sosta, la tramortì, la caricò a bordo del camion e, dopo aver lavorato tutto il giorno, la uccise. “Non è possibile stabilire la dinamica – ha argomentato il pm – Yara potrebbe essere stata convinta a salire, oppure tramortita come si verificò in quell’occasione”.
Oltre alla prova “regina”, quella del dna, definita “il faro dell’inchiesta“, secondo il pm dopo le indagini è emerso “un corollario significativo” di indizi caratterizzati da “gravità, precisione e concordanza”: i tabulati telefonici dell’imputato e le immagini del mezzo ripreso dalle telecamere di sorveglianza della zona. Si tratta di “elementi che vanno letti complessivamente” e che dimostrano come “non cercammo di cucire addosso degli elementi, ma cercammo riscontri in quello che già c’era”. I tabulati telefonici di tutte le persone che transitarono a Brembate il 26 novembre 2010 e le immagini delle telecamere – ha ricordato l’accusa – furono acquisite, infatti, nei giorni immediatamente successivi alla scomparsa della ragazza, mentre la figura di Bossetti comparve nel giugno 2014.
Secondo la ricostruzione della Procura, “l’incontro fatale” tra Yara e Bossetti “non è accaduto davanti alla palestra” da cui la 13enne scomparve, ma vicino all’abitazione della ragazza in via Morlotti oppure in via Rampinelli, due strade che la ragazza avrebbe dovuto necessariamente percorrere per tornare a casa. Il pm ha comunque precisato che non è possibile stabilirlo con certezza. Ma ha cercato di smontare le consulenze della difesa, in particolare sui video delle telecamere di sorveglianza della zona e sulle fibre trovate sul corpo della vittima “identificabili con probabilità” con quelle rinvenute sui sedili del mezzo del muratore.