Anche se con colpevole ritardo, il Parlamento greco ha votato all’unanimità il 24 febbraio 1994 la nascita della giornata della memoria per il genocidio dei Ponti. Da allora il 19 maggio è dedicato al ricordo di quella parte di greci che vivevano nel nord dell’Asia Minore, nel Ponto, dopo la dissoluzione dell’impero bizantino e, al pari degli Armeni, che vennero trucidati dalla barbarie ottomana. La conquista di Trabzon nel 1461 da parte degli Ottomani non rivoluzionò di un solo millimetro la loro coscienza greca.
Ma il 19 maggio del 1919 Mustafa Kemal sbarcò a Samsun per iniziare la seconda e più brutale fase del genocidio Ponziano, sotto la guida di consiglieri tedeschi. Secondo alcuni storici le vittime del genocidio furono 350.000. Coloro che sfuggirono alla spada turca scapparono, come profughi, nel sud della Russia, mentre circa 400.000 cercarono riparo in Grecia. Con la loro professionalità e il loro lavoro hanno contribuito notevolmente al recupero di ciò che era stato loro strappato e hanno inciso non poco sull’equilibrio demografico ellenico.
L’exploit economico dei Ponti, combinato con un’ascesa demografica, produsse numeri e trend significativi. Nel 1865 i greci del Ponto erano pari a 265.000 persone, nel 1880 erano 330.000 e nei primi anni del 20° secolo toccarono quota 700.000. Nel 1860 c’erano già cento scuole nel Ponto, a dimostrazione di una vitalità culturale sconosciuta a chi poi li perseguitò, numero che nel 1919 aumentò sino a 1401, tra cui il noto istituto Tutorial Trabzon. Oltre a scuole di pregio, i Ponti erano famosi per attività editoriali, commerciali, legate alla cultura ed alla filantropia, alle arti teatrali di cui tutti gli storici riconoscono l’altissimo livello qualitativo.
Ma come nacque la spinta del genocidio? Il 1908 fu stato un anno particolare per la storia dell’Impero ottomano. Giunse alla ribalta il movimento dei Giovani Turchi, al fine di impostare nuovi margini socio-politici per il sultanato desideroso di riforme e modernizzazioni. Ma furono speranze ben presto disattese dai fatti: i Giovani Turchi mostrarono il vero volto del loro partito, guidato dal sanguinario Talat Pasa. Iper nazionalista, radicalizzato, dedito alla persecuzione delle popolazioni cristiane e alla turchizzazione forzosa dell’intera macroregione, approfittando della distrazione degli Stati europei alle prese con la prima guerra mondiale. Anche la Grecia non fu esente da colpe: impegnata su altri fronti, non riuscì ad avere la forza per affrontare il caso con la Turchia.
E così i turchi, con il pretesto della “sicurezza dello Stato”, spostarono la gran parte della popolazione greca presente in Asia Minore in un entroterra inospitale e gretto. Utilizzarono i Ponti nei cosiddetti “battaglioni del lavoro” (“Tambour Amelia”). Lavorarono in cave e miniere, per la costruzione di strade, in condizioni invalidanti. La maggior parte morirono di fame, stenti e malattie.
Chi si ribellava veniva ucciso e i villaggi incendiati. Dopo il genocidio armeno i greci, assieme con gli armeni e il sostegno temporaneo del governo Venizelos, tentarono di creare uno stato ellinoarmeno autonomo. Ma il piano fu fatto abortire dai turchi, che scelsero la più comoda e violenza “soluzione finale” del genocidio. Con buona pace di chi oggi vieta per legge che solo si pronunci quel termine che qualifica l’uccisione di migliaia di persone.
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