In un documentario di Rai Storia vita, opere e delitti di una banda di malavitosi di successo venuti d'Oltralpe, che per la prima volta mostra alla Capitale che cos'è il crimine, quello vero e organizzato. Dal ventre molle della Costa Azzurra, dove i mafiosi siciliani inviavano i loro picciotti a studiare la raffinazione dell'eroina, arrivò la banda delle tre B: Maffeo Bellicini, Jacques Berenguer e Albert Bergamelli
Prima di Mafia capitale e della banda della Magliana, prima di Romanzo criminale e dei corleonesi di Cosa nostra, prima del regno di Renato De Pedis e di Massimo Carminati, prima che Roma diventasse Suburra, c’è un manipolo di gangster che mette radici nella città eterna. Una banda di malavitosi di successo venuti d’Oltralpe, che per la prima volta mostra alla Capitale che cos’è il crimine, quello vero e organizzato. Lo chiamavano il clan dei Marsigliesi, perché da lì, dal ventre molle della Costa Azzurra, dove i mafiosi siciliani inviavano i loro picciotti a studiare la raffinazione dell’eroina, che arrivava la banda delle tre B: Maffeo Bellicini, Jacques Berenguer e Albert Bergamelli.
Il primo è un appassionato di filosofia che ama lo champagne, gli altri due preferiscono il whisky e la cocaina: insieme sono tre gangster vecchio stampo, cresciuti nel milieu marsigliese con Al Capone come idolo e un’esistenza ispirata alla Chicago degli anni ’30, vestiti costosi e auto di lusso, donne bellissime e almeno un paio di spettacolari evasioni dalle carceri di mezza Europa. Solo che negli anni ’60 Roma non è Chicago e non è nemmeno quella terra di conquista che diventerà solo qualche tempo dopo, con l’arrivo delle mafie dal Sud e la scalata dei ragazzi della Magliana: in quel momento la Capitale non conosce ancora cosa sia la criminalità organizzata. “È per questo motivo che i marsigliesi cambiarono il modo di fare crimine in Italia: il loro alto tenore di vita e l’aspetto elegante nascondevano sfrontatezza e ferocia con cui perpetrarono i loro crimini. Furono celebri i loro sequestri di persona, e i rapporti con criminali milanesi come Francis Turatello”, racconta Franco Roberti, procuratore nazionale Antimafia che ha curato l’introduzione al documentario dedicato da Rai Storia ai tre gangster venuti d’Oltralpe (in onda mercoledì alle 21 e 30).
Quella ricostruita da Alessandro Chiappetta e Graziano Conversano, con le testimonianze dei magistrati Ferdinando Imposimato e Otello Lupacchini, è una storia quasi dimenticata, la cronaca di un biennio di violenza e paura che ha inciso in maniera fondamentale nella storia criminale romana. Tutto comincia il 21 febbraio del 1975, all’ufficio postale di piazza dei Caprettari: i marsigliesi entrano in scena sognando il colpo della vita: alla fine, invece, il bottino è misero, appena 400 mila lire. Sull’asfalto, però, lasciano il cadavere di un poliziotto, Giuseppe Marchisella, e si portano dietro anche la morte della fidanzata, che si suiciderà solo due giorni dopo.
Neanche il tempo di contare i cadaveri che cominciano i sequestri di persona: il primo è quello del gioielliere Gianni Bulgari. Auto truccate, mitra spianati, volto coperto e un bottino che alla fine sfiorerà i cinque miliardi di euro: la Capitale, fino a quel momento popolata solo da anarchiche “batterie” di malavitosi locali, non ha mai visto nulla del genere. Sui giornali Bellicini, Berenguer e Bergamelli diventano “gli uomini d’oro”: da loro impareranno il “mestiere”, alcuni dei ragazzi che poi scriveranno la storia criminale italiana come Danilo Abbruciati, il futuro er Camaleonte della banda della Magliana.
Nel frattempo, però, intorno ai Marsigliesi si muove anche altro: dagli estremisti neri a esponenti dei servizi segreti, dai terroristi dei Nuclei armati proletari fino ad Aldo Semerari, lo psichiatra che firmava false perizie mentali per i camorristi e che poi verrà trovato decapitato nel cofano di un’auto abbandonata nei paraggi del castello di Raffaele Cutolo. “A un certo punto cominciano degli incroci con i poteri occulti – ricorda il giornalista Andrea Purgatori nel documentario – una zona grigia dove si intrecciava la criminalità con pezzi deviati della polizia, dei servizi segreti si propongono e come dire vengono anche reclutati per compiere azioni che vanno al di là della semplice rapina o del sequestro di persona”.
Ed è su questo che lavorava il giudice Vittorio Occorsio, sui collegamenti tra il clan dei Marsigliesi ed elementi di spicco della loggia P2: morirà ammazzato dal neofascista Pierluigi Concutelli, che lo abbatte a colpi di mitra il 10 luglio del 1976. Finisce e male anche la storia dei marsigliesi: dopo un paio di fughe tra gli Stati Uniti e la Francia, Berenguer e Bergamelli verranno trucidati in carcere da detenuti comuni senza un apparente motivo. Riesce a sopravvivere invece Bellicini: scappato dal carcere di Lecce nel 1976, era stato subito riacciuffato mentre beveva champagne in un ristorante nel centro di Roma. Tornato libero finirà di nuovo in manette trent’anni dopo, confuso tra le segnaletiche di un maxi blitz antidroga: i carabinieri del gruppo Frascati neanche si accorsero di aver arrestato l’ultimo sopravvissuto dei Marsigliesi, il clan che prima di tutti aveva messo le mani su Roma.