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Commessi outlet licenziati per contratto? Per il giudice l’escamotage è illecito

Spesso i locali all'interno dei centri commerciali sono dati in locazione come affitti di rami d'azienda con l'obbligo per il gestore di mandare a casa tutti i dipendenti nel momento in cui l'outlet chiede la restituzione dello spazio. Un negoziante si è opposto all'accordo e due sentenze gli hanno dato ragione. Ecco i casi del Fidenza Village e del Franciacorta Outlet Village

Le sentenze sono già due. Prova che il bubbone è pronto a scoppiare e potrebbe mettere in discussione il sistema su cui si basano molti degli outlet italiani. Poli commerciali che ai clienti mostrano il loro volto buono, e cioè i capi griffati a prezzi scontati. Ma dove spesso lavorano commessi il cui posto è tutt’altro che garantito. Anzi, molti di loro devono essere licenziati per contratto ogni volta che il locale passa di mano da un marchio a un altro. Licenziamenti illegittimi, ha stabilito il tribunale di Parma entrando nel merito dell’accordo siglato tra VR Milan, società legata al gruppo anglo-americano Value Retail che è proprietaria del Fidenza Village, e Saldarini, azienda attiva nel settore abbigliamento e accessori.

All’origine di tutto c’è la particolare forma contrattuale che gli outlet di solito impongono ai gestori dei singoli negozi. Come nel caso di Saldarini, entrato al Fidenza Village in virtù di un affitto non di locale commerciale, ma di ramo d’azienda, rinunciando così alle garanzie previste per i commercianti, come il tacito rinnovo contrattuale e la buonuscita, e assumendosi il rischio che i proprietari dell’outlet possano “in qualsiasi momento e a propria discrezione – si legge nel documento – risolvere anticipatamente il contratto”. Ma i dolori maggiori sono riservati ai commessi. Perché “alla data di scadenza o di risoluzione anticipata del presente contratto (…) il ramo d’azienda dovrà essere consegnato a Fidenza Village senza personale, dipendenti, né consulenti”. Il gestore del negozio, insomma, è obbligato a licenziare tutti i dipendenti o ad arrivare con loro a un accordo di conciliazione negli uffici provinciali del ministero del Lavoro, a meno di pagare una penale salatissima: nel caso di Saldarini, ben 5mila euro al giorno dal mancato rispetto della clausola.

Per ora Saldarini quei soldi non li ha versati. Allo scadere del contratto, anziché restituire il ramo d’azienda privo di dipendenti, ha cercato di mettere sotto accusa il sistema. Da un lato ha iniziato contro il Fidenza Village una causa, attualmente ancora in corso, sostenendo che la tipologia contrattuale corretta per i negozi degli outlet è la locazione commerciale. Dall’altro ha inviato una lettera di licenziamento ad alcuni dei suoi dipendenti, suggerendogli in seguito di intraprendere una causa di lavoro contro lui stesso, per fare esprimere un giudice sulla vicenda. E il tribunale di Parma ha messo nero su bianco già due volte che questi licenziamenti sono illegittimi: l’articolo 2112 del codice civile stabilisce infatti che nel caso di trasferimento d’azienda i rapporti di lavoro devono continuare e i lavoratori conservano tutti i loro diritti. “Locatore e locatario dell’azienda – si legge per esempio nella sentenza del 24 marzo 2016, – non possono in alcun modo escludere l’operatività piena della norma in questione, oltre a tutto dettata in attuazione della normativa europea in materia”. Pertanto nessun licenziamento “motivato dalla retrocessione dell’azienda affittata (…) poteva essere intimato”.

Il caso del Fidenza Village non è isolato. Clausole analoghe Saldarini se le è trovate anche negli altri sette outlet dove opera o ha operato. Come al Franciacorta Outlet Village di Rodengo Saiano (Brescia), complesso oggi in mano al fondo americano Blackstone. Anche qui, al termine del contratto, la questione del licenziamento dei dipendenti è finita davanti a un giudice, che in un’udienza del maggio 2014 si è trovato davanti il legale dell’outlet che per difendere la sua posizione evidenziava “la pacifica ammissione (…) riguardo alla insussistenza del rapporto di affitto di ramo d’azienda, avendo il contratto caratteristiche tipiche ed esclusive della locazione commerciale”. Il contrario cioè di quanto l’accordo con Saldarini diceva persino nell’intestazione: “Affitto di ramo di azienda”. E il contrario di quanto Franciacorta sottoscriveva appena qualche mese prima nel nuovo accordo siglato con la società subentrata a Saldarini nel negozio lasciato libero: sempre un affitto di ramo di azienda da restituire “del tutto privo di personale dipendente”.

Contattate da ilfattoquotidiano.it, né VR Milan né la società che gestisce l’outlet Franciacorta hanno voluto rilasciare commenti. E l’Inps invece che fa? Domanda lecita, visto che un lavoratore lasciato a casa ha un bel costo anche per le casse pubbliche, tra indennità di disoccupazione e riduzioni contributive alle aziende che scelgono il personale dalle liste di mobilità. Per il Fidenza Village, ad esempio, una perizia commissionata da Saldarini e depositata in tribunale ha stimato in oltre 7 milioni di euro i costi dell’Inps dovuti alle chiusure di attività avvenute nell’outlet in dieci anni. Bene, l’istituto previdenziale in un primo momento si era costituito nelle cause promosse da Saldarini. Ma in seguito il suo interesse è venuto meno, tanto che in un’email dell’anno scorso la direzione provinciale di Parma dell’Inps ha scritto che “i profili rimarcati non rientrano in quelli per i quali sussiste potestà di controllo e/o sanzionatoria dell’istituto”.

Twitter: @gigi_gno