Apro questo post con due considerazioni. Primo: non sappiamo ancora bene cosa sia successo al volo MS804 della EgyptAir, se il disastro sia stato causato da un guasto, da una follia del pilota o da un attentato terroristico. Secondo: gli aerei in fase di crociera sono dei sistemi perfetti. È rarissimo che un aereo precipiti o tantomeno esploda per cause tecniche quando se ne vola tranquillo a 11mila metri di quota, a meno che qualcuno non provochi intenzionalmente una tragedia. In questo caso – parliamo di un Airbus partito da Parigi e diretto al Cairo – basta davvero poca fantasia per soppesare le varie ipotesi e immaginare cosa possa essere successo.
Per chi come il sottoscritto scrive di viaggi e di luoghi da visitare è sempre difficile commentare notizie come l’incidente della scorsa notte, il secondo in pochi mesi dopo l’attentato dello scorso 31 ottobre al vettore Metrojet 9268 precipitato sulla Penisola del Sinai con 224 persone a bordo. La conseguenza di questi disastri è tanto semplice quanto spietata: indeboliranno la già anemica economia turistica egiziana e contribuiranno a destabilizzare ancora di più il Paese.
Basta mettere in fila un pugno di numeri e di percentuali per restituire a chi legge cosa sta accadendo. Secondo i dati tratti dal Mirror e dal Mail inglese, prima del 2011, l’anno della grande rivolta che provocò la caduta di Mubarak, il turismo era una componente trainante dell’economia egiziana: impiegava il 12 per cento della forza lavoro complessiva e valeva 8 miliardi di dollari l’anno. Nel 2010 si contavano 14,7 milioni di turisti all’ombra delle piramidi; nel giro di tre anni il loro numero è calato a 9,5 milioni. È però tra il 2015 e il 2016 che la situazione è letteralmente precipitata a causa dell’attentato sul volo Metrojet, a cui seguirono gli inevitabili travel warning degli Stati europei, della sciagurata gestione del caso Regeni e del grottesco dirottamento su Cipro del volo EgyptAir MS181. Nel febbraio 2016 sono arrivati in Egitto 347mila visitatori, contro i 640mila dello stesso periodo dello scorso anno, mentre il numero medio di notti passate dai turisti in terra egiziana è calato del 67,2% rispetto al febbraio 2015. Secondo quanto dichiarato alla Reuters da un consulente del ministero del Turismo, nel primo trimestre del 2016 le entrate nette provenienti dall’economia turistica sono state di appena 500 milioni di dollari, una miseria rispetto agli 1,5 miliardi di un anno prima. In totale, nell’arco di un anno il numero dei visitatori si è ridotto del 47%.
Ciò che sta succedendo, quindi, è che un numero sempre più esiguo di turisti decide di ammirare le Piramidi del Cairo e di passeggiare nella Valle dei Re. La paura di viaggiare svuota di passeggeri le navi che fanno le crociere sul Nilo; il timore per la propria incolumità tiene lontani i turisti dagli splendidi bazar di Khan el Khalili e dalle spiagge di Sharm-el-Sheikh. Ecco, per noi italiani questo è il colpo peggiore. Quella che è stata per decenni la nostra meta preferita, il sogno di vacanza a buon costo dei nostri nonni e dei nostri genitori, diventa di colpo un luogo pericoloso, da evitare, se non si vuole morire. Le immagini delle sdraio vuote in riva al mar Rosso sono tristi, perché ci ricordano di come il terrorismo stia cambiando le nostre abitudini.
Il problema, è superfluo ricordarlo, non è solo l’Is. Il neoministro del turismo Yehia Rashed, che pensa bene di attrarre 12 milioni di turisti nel 2017, ha dichiarato recentemente che “l’Egitto è sicuro”. Sappiamo tutti che in questo momento non è così. L’incapacità dei governanti locali di tutelare chi decide di spendere parte dei propri soldi per visitare il Paese non si può definire in altro modo se non come un atto di follia incomprensibile per un occidentale. Inutile girarci intorno: stiamo assistendo a un harakiri che rischia di sventrare completamente la pancia del turismo egiziano, e di provocare per riflesso il collasso di tutta l’economia locale. Con il beneplacito di al-Sisi e la tristezza nel cuore per tutti noi che amiamo questa terra.