“Mi tolga una curiosità, ma lei per caso è parente di quel Padellaro che era con me a Salò?” Si chiude così il primo capitolo de il Fatto Personale (Paper First, euro 12) di Antonio Padellaro: con la domanda di Giorgio Almirante – posta “con sorriso cattivo” – dopo un’intervista scomoda (pp. 29-30). Lavorava al Corriere della Sera, allora, il futuro fondatore del Fatto. L’episodio dice di un modo d’essere giornalista che non fa sconti e non è disponibile ad accomodamenti. Nemmeno quando il Nostro riceve la telefonata di una grande firma: “Sono Oriana Fallaci. Padellaro, ascolta bene, Pasolini è stato ucciso dai fascisti. DAI FASCISTI, devi scriverlo” (p. 21). Non c’erano prove e non ci pensò nemmeno a lanciare accuse. I fatti separati dalle opinioni, e una certa idea di giornalismo di cui l’autore de il Fatto Personale fornisce testimonianza da postazioni davvero particolari: il Corriere della Sera, L’Espresso, L’Unità e infine il Fatto che ha diretto fino al 2015.

padellaroIl testo è diviso in due parti: la prima racconta la sua famiglia fascista, gli anni in via Solferino, eccetera; la seconda l’impresa editoriale de il Fatto, gli scoop (da Vatileaks al caso Ruby), le querele subite a causa del giornalismo d’inchiesta: “Nel 90 per cento dei casi, i giornalisti del Fatto vengono querelati perché toccano santuari mai neppure sfiorati prima. Un sistema intimidatorio al quale abbiamo deciso di non piegarci” (p. 139). Padellaro ha fatto, come tutti, degli errori; e qualche gaffe, ammessa con candore: “Anche io porterò la mia pietruzza al conformismo di sinistra” – siamo negli anni del Corriere – “quando sostengo davanti al direttore che il ruolo dei giornali è quello di ‘formare’ più che di informare. Una bestialità di cui mi vergogno ancora oggi” (p. 36). Interessante, invece, la coerenza con cui difende i compagni di squadra quando, negli anni dell’Unità, subisce l’attacco del “fuoco amico”. E’ troppo scomodo, per la direzione del partito, un giornale diventato la coscienza critica della sinistra. Bisogna tagliare le teste pericolose. Padellaro non ha dubbi: “Considero Travaglio e Colombo due pilastri imprescindibili dell’Unità – dice agli Angelucci – Ma se la pensate diversamente è meglio chiuderla qua” (p. 73).

Dal libro emerge una costanza, un coraggio, una forza di carattere che non ti aspetti da un uomo mite. Qualcosa deve essere rimasto del carattere del padre: “Non rinnegare e non rimpiangere”, diceva. Il libro è ricco di aneddoti, storie, fatti, interpretazioni. Parole che trovano la lucidità necessaria quando si tratta di raccontare lo scontro con Napolitano sulla trattativa Stato-mafia. Padellaro denuncia – tra l’altro – l’assuefazione, il silenzio dei grandi giornali: “Così, come già accaduto ai tempi di Berlusconi, l’informazione diventa la guardia reale dell’intoccabile potente di turno, che Napolitano incarna alla perfezione. E’ questo il nostro mestiere?” (p. 93). Concetti chiari, anche nella risposta a Ezio Mauro che stabilisce confini (“la nostra metà del campo”), assegna ruoli, decide chi è di destra o di sinistra. “Notare il linguaggio da proprietari terrieri – scrive Padellaro – ‘la nostra metà del campo’. Nostra di chi? Chi ve l’ha regalata? Cos’è, un lascito di Napolitano?” (p.94).

Idee che raccontano l’orgoglio del fondatore di un giornale che è, di fatto, il nuovo fenomeno editoriale, dopo la Repubblica di Scalfari. Di più: “da quando è nato, il Fatto si è trovato ad occupare una parte del segmento di mercato nel quale fino a quel momento Repubblica ha spadroneggiato” (p. 146). Da qui la rivalità – inevitabile – tra i due giornali e l’augurio di Scalfari di buon fallimento. E’ andata bene, invece. Il Fatto, “con 600 mila euro di capitale iniziale farà utili per 16 milioni”. Ci sono molte cose in queste pagine interessanti e ricche di pathos: la carriera di un giornalista, la comunità dei lettori, l’esigenza di un’informazione indipendente (vedi: “Cani da guardia e da salotto”). Belli i passaggi sui “Bocconiani al potere” e la sobrietà: “Ci prudono le mani e dopo una breve resistenza cominciammo a sfottere tutti” (p. 102). Imperdibili.

Non dimentica gli amici, l’autore de il Fatto Personale: “compagni di un’avventura che tutti sapevamo unica e irripetibile. Il grande Antonio Tabucchi; Paolo Flores d’Arcais, un po’ ‘fondatore’ anche lui” (p. 121). In ogni pagina traspare la passione per un mestiere che tuttavia sta mutando. Cambia tono e registro linguistico quando affronta il tema: “Entro qualche anno le vecchie redazioni non esisteranno più come sistema pensante e l’idea del giornale come idea del mondo rimarrà in una forma estremamente elitaria e con i numeri sempre più piccoli” (p.163). C’è una vena di nostalgia in queste parole. Nostalgia che non esclude l’impegno, la lotta, il coraggio, che talvolta Padellaro ama mascherare. Con Keynes: “Recitava la sua parte nel modo amabile, astuto e un po’ pasticciato di chi era stato educato dai gesuiti”. Se davvero si vuole conoscere l’anima del Fatto Quotidiano, occorre leggere questo libro.

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