Perché dovrei diventare “partner” o “sostenitore”, o “socio di fatto”, insomma perché mi dovrei iscrivere al Fatto social Club?
La risposta più semplice potrebbe essere: “perché Il Fatto Quotidiano mi offre in cambio gli sconti sui corsi di giornalismo della scuola Emiliano Liuzzi o sul pranzo da Vissani e poi perché così posso partecipare alle riunioni di redazione e perché posso proporre io le inchieste migliori e magari leggerle on line senza essere ‘molestato’ dai banner della pubblicità”. Potrei scrivere questo post in dieci righe chiudendola qui senza dire una bugia. In realtà se volete sapere davvero come la penso dovrete armarvi di pazienza e seguire un ragionamento un po’ più complesso.

Tutte quelle sopra elencate sono buone, anzi ottime ragioni, per entrare nel Fatto social Club. In realtà la ragione più importante per me è un’altra. Senza esagerare con la retorica kennedyana, la questione va ribaltata. Il punto non è cosa mi dà, in cambio della quota, ‘Il Fatto Social Club’. Il punto è: “cosa posso fare io – con Il Fatto – per migliorare l’informazione e questo paese”. Bum, direte voi. Provo a convincervi partendo dai conti. Esercizio basso e ignobile ma talvolta utile per capire le cose. Ad agosto 2007 Il Corriere della Sera vendeva 584 mila copie e Repubblica 563 mila. Oggi entrambi vendono poco meno di 215 mila copie ciascuno. Sommando i primi tre quotidiani italiani oggi non si arriva alle vendite del Corriere di ieri.

Anche il nostro giornale ha subito la crisi della carta. Anche noi abbiamo puntato su internet. Grazie al lavoro di Peter Gomez siamo cresciuti nel web più degli altri e grazie al lavoro di Antonio Padellaro e Marco Travaglio abbiamo perso meno lettori degli altri in edicola. Grazie a voi. Però il trend è quello, per tutti, in tutto il mondo. Qualcuno potrebbe dire: “Bene, i giornali scompariranno e noi ci informeremo gratis sul web, oltre che con la tv”. Siamo sicuri che un mondo senza giornali sia un mondo migliore? Certo, la mia è l’opinione di un giornalista e quindi potrei essere accusato di fare come l’oste che loda il suo vino o come il tacchino che cerca di far diventare vegetariano il suo allevatore. Però penso che scriverei questo post anche se facessi l’avvocato. Internet ha portato molti miglioramenti per lettori e giornalisti. E’ caduta la barriera tra fruitori e produttori delle notizie. Il giornalista ex cathedra, che ammanniva il suo sapere sul pubblico pagante, è una specie in via di estinzione. Oggi siamo tutti lettori passivi e comunicatori attivi allo stesso momento. La filiera si è accorciata, togliendo potere agli editori che non possono più censurare facilmente le verità scomode. Però c’è un però.

Il vecchio circuito chiuso dell’informazione aveva mille difetti ma permetteva agli editori di pagare bene chi era in grado di trovare le notizie vere. Il lato negativo di quel circuito chiuso lo conosciamo e lo abbiamo denunciato mille volte: le notizie scovate dai bravi giornalisti spesso poi non uscivano o erano declassate e disinnescate. Così i migliori cronisti – stanchi di lavorare a vuoto – si omologavano o cambiavano mestiere. I grandi industriali e i partiti compravano i giornali proprio con questo fine. Nominavano i direttori più bravi a evitare la pubblicazione delle notizie scomode, senza fare rumore. Contro questo male che soffocava l’informazione libera è nato Il Fatto. Ora però, con il sistema aperto del web, i mali, a mio modo di vedere, stanno diventando altri: i copioni e gli spioni. E’ troppo facile copiare e poi pubblicare gratis su internet le notizie frutto del lavoro altrui.

Oggi le notizie sono gratis sul web, i giornali di carta vendono un terzo e non sono più in grado di pagare degnamente un cronista valido, che potrebbe fare un altro mestiere con lo stesso successo. Nessuno investe sulla formazione. Quanti sono i bravi giornalisti investigativi nati negli anni novanta? Quanti saranno nel 2020? Stiamo vivendo una specie di ‘bolla informativa’. Su internet si trovano molte più notizie gratis di quante se ne trovassero venti anni fa. Però i giornali che spendono più soldi per trovare le notizie scomode (e per le cause legali) rischiano di fallire, perché la carta vende meno e il web non garantisce gli stessi introiti. Non è così solo per colpa dei tanti siti copioni che proliferano – come dicevo prima – ma anche di quelli che io chiamo “gli spioni”. La pubblicità è la principale fonte di sostentamento del giornalismo su internet. I proventi della pubblicità sull’inchiesta pubblicata on line da un quotidiano finiscono in parte in tasca a chi l’ha copiata e in parte (importante) a Google o a Facebook che vi permettono di scovarla sul web. Google e Facebook però usano il web per avere informazioni sui lettori (le loro abitudini e i loro gusti) e per poi fare pubblicità mirata. Il modello economico è quindi opposto a quello dei giornali che invece usano il web per dare informazioni ai lettori, non per prenderle da loro.

L’esperienza dimostra che il primo modello economico rischia di schiacciare il secondo. Il modello degli “investigatori informatici” di Google, che prendono le informazioni sulla vostra vita senza che voi ve ne accorgiate (il consenso all’utilizzo dei nostri lo diamo tutti con troppa leggerezza) può uccidere il modello economico dei giornalisti investigativi che cercano le informazioni sui potenti per poi offrirle ai lettori. Perché Google è più forte di un giornale come il Fatto? Perché noi vi chiediamo di pagare per avere le informazioni sui potenti mentre Google, le informazioni sulle nostre vite, le riceve gratis. I servizi gratuiti come google mail, google maps, google libri o simili sono specchietti per le allodole per indurci a fornire tutte le coordinate della nostra vita a qualcuno che poi le colleziona, le studia e le rivende. A prescindere dallo strapotere di Google e Facebook, la dipendenza dell’informazione dalla pubblicità non è mai stata una cosa buona. Il Fatto Quotidiano è ancora in utile grazie alle copie della carta, ma raccoglie poca pubblicità su carta e tanta (ma non abbastanza) su web. Le grandi aziende non gradiscono le inchieste sui loro interessi e per questa ragione non è saggio mettere nelle mani di queste società il bilancio dell’editoria.

L’unico modo per continuare a sopravvivere in questo mercato è unire i lettori e i giornali che producono le notizie e le analisi scomode in una comunità che abbia percezione di perseguire un interesse comune. Grazie alle inchieste del Fatto, il sottosegretario alla presidenza del consiglio Malinconico, quello dalle ferie allegre, ha lasciato Palazzo Chigi. Grazie al Fatto, un banchiere che truccava i conti non è più il presidente dell’Associazione delle Banche Italiane, l’Abi. Grazie al Fatto Quotidiano, tutti sanno i nomi dei soci di Marco Carrai in Lussemburgo. E forse anche per questo Matteo Renzi ha esitato a nominarlo a capo della cyber-security. Antonio Massari e Davide Vecchi hanno lavorato intere settimane per ricostruire la rete delle società lussemburghesi di Marco Carrai. Quell’inchiesta non l’ha fatta nessun altro grande quotidiano, nessun Tg, né RaiMediaset, nessun giornalista di SkyTg 24, nessuna trasmissione di approfondimento con talk show incluso. Forse solo Report e Presa diretta, finché ci saranno, potrebbero fare un lavoro simile. Servizio Pubblico già è scomparso dagli schermi.

Certo le carte le avrebbe potute divulgare un sito di leaks o un blog di attivisti, ma ci sarebbe stato sempre bisogno di un lavoro giornalistico per incrociare i dati e far diventare le carte un vero servizio di informazione. Come è accaduto per i Panama Papers con l’Espresso. Nell’era del web, chi pubblica le notizie gradite al potere troverà una fonte di sostentamento per la sua attività editoriale: una grande azienda che programma una campagna pubblicitaria, una municipalizzata che sceglie quella testata per la solita campagna istituzionale. Se vi piace il giornalismo che fa da megafono al potere economico e politico, lasciate perdere l’abbonamento e continuate a godere la lettura dell’informazione free nel prezzo ma spesso non nel contenuto. Se pensate che, anche nell’era del web, sia utile un giornalismo interessato a scovare le informazioni che il potere vuole nascondere, iscrivetevi al Fatto social club.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Fatto Social Club, qui nessuno mi picchia

next
Articolo Successivo

‘Il Fatto Personale’ di Padellaro ci racconta l’Italia e una certa idea di giornalismo

next