Johnny DalBasso è un fiume in piena, la personificazione musicale dello strapotere della volontà e della costanza che diventa uomo e artista. Io almeno l’ho conosciuto così, indirettamente, prima di evitare di pensarci due volte e ‘sposare’ la sua causa (sempre musicale): qualche video su YouTube, segnalazioni di amici e amiche tutti – me compreso – assuefatti già ad un primo ascolto dalla semplicità e dalla corposità della sua proposta. Johnny è solo, nel senso che se la canta e se la suono senza troppi fronzoli o giri di parole un po’ facendo di necessità virtù, un po’ perchè secondo me tutto questo lo fa stare bene e non gli bastava imbracciare una chitarra e, a dir tanto, cantare pure.
Il ragazzotto piazzato ma bello asciutto che ora avete davanti anche voi è uno e trino: sei corde, batteria, voce a cui si aggiungono due dischi all’attivo (“JDB”, “IX”) ed una serie di concerti che da 3 anni a questa parte lo hanno portato ovunque nel nostro paese senza per questo (almeno apparentemente) sfiancarlo in minima parte. Ho colto quindi ben volentieri la possibilità di condividere la sua musica con voi e, vista l’occasione, scambiare con lui anche quattro chiacchiere e pubblicare in esclusiva qui per Il Fatto il video del nuovo singolo “Fottiti”.
01 – Ciao Johnny: te la senti di descrivere la tua musica ai lettori di questo blog usando non più di 5 parole?
Tu pa tu pa boom.
02 – La musica, specie quella alternativa, va sempre più nella direzione dell’essenziale: tante band (Royal Blood, Death From Above 1979, Kills, Black Keys, Pan del Diavolo, ecc) in voga in questi anni sono composte da 2, al massimo 3 elementi. Poi arrivi tu, che sei ‘solo’: mi spieghi questa scelta? Una scelta che già di per sè crea grande curiosità (e invidia) in chi ti ascolta e vede dal vivo!
In effetti molte band, power duo o trio, invidiano la praticità di una band come la mia formata da un solo elemento , ma quello che posso dire è che quella del one-man band è una scelta non semplice e che si può fare solo se frutto di una ispirazione o di un desiderio di creare il tutto dall’uno, ed infatti chi mette su una one-man band per ragioni pratiche o perché abbagliato dal guadagno “facile” dura poco.
03 – Tu definisci questa tua peculiarità non come il “trionfo del fai da te” ma “il miglior modo per cominciare qualcosa”: nel senso ti senti aperto ad altre possibilità per il futuro prossimo?
Quando è nato Johnny DalBasso ho sempre voluto vederlo come un personaggio che canta, suona, scrive, dice cose, pensa… Non per forza solo ed esclusivamente come un “cantante”. Mi piacerebbe in futuro trasportare l’idea che ho di questo personaggio in altri ambiti artistici, magari anche lontani dalla musica stessa.
04 – E’ uscito il 25 febbraio il tuo secondo disco “IX”: ha un significato particolare per te il numero ‘9’ e, sopratutto, ti chiedo se c’è un tema, una parola, un sentimento che più di tutti contamina questo album. Una sorta di ‘filo conduttore’: oppure no.
Il disco si chiama “IX” perchè volevo ironicamente prendere in giro chi, richiamando i Led Zeppelin, chiama i propri dischi II, III ecc… Io salto direttamente a IX e ci metto all’interno del disco nove pezzi e lo vendo a 9,00 € ai concerti, così. La parola c’è ed è: scontro. L’album è nato dall’unione di vari singoli che ho scritto quasi tutti nel 2015 e che, sarà per il periodo storico turbolento che stiamo vivendo, hanno tutti come tema di fondo lo scontro, vuoi tra due personalità forti, o tra un ragazzo ed una ragazza che vivono una storia d’amore, o tra il nazionalista ultraconservatore ed un immigrato.
05 – C’è evidentemente tanta determinazione e tanto sacrificio dietro quello che fai, basti pensare che sei ininterrottamente in tour da praticamente 3 anni: quella ‘dal vivo’ è una dimensione che al giorno d’oggi, con le possibilità che si aprono imbracciando solo un iPad, è sottovalutata secondo te?
Ti ringrazio per avere sottolineato la mia costanza nelle esibizioni dal vivo, che rimangono il motivo fondamentale per cui suono. Per me la musica live è come il sesso, cioè una delle poche espressioni dell’istinto che l’uomo deve conservare per sentirsi umano. Non credo a quei gruppi che restano chiusi tre anni in studio per registrare e poi fanno cinque date di presentazione, per me non ha senso. Oggi risulta quasi obsoleto suonare ancora con strumenti acustici come la batteria quando, sia per l’ascolto che per la produzioni di suoni, si usano sempre di più computer e campionatori digitali, ma quello di cui sono sicuro è che se vuoi colpire alla pancia e al cuore bisogna continuare a mantenere vivo questo suono, primordiale e monolitico e, se vogliamo, antico.
06 – Di quali tuoi colleghi rimanendo nell’ambito della musica cosiddetta underground, compri e ascolti musica più volentieri?
Cerco di sostenere soprattutto artisti poco conosciuti, dato che gli artisti indie italiani famosi vivono di vita propria. Mi piace, quando non suono, andare a sentire gruppi nuovi e comprare i loro dischi, dato che se devo “aiutare” qualcuno a crescere preferisco farlo con chi parte dal basso.
07 – E rovesciando la domanda chi è che invece ti ha spinto con la ‘sua’ musica a voler fare qualcosa di tuo?
Il desiderio di entrare a far parte di quel tipo di approccio nel suonare uno strumento che puoi trovare nei primi gruppi rock’n’roll anni ‘50 come nei gruppi stoner o garage rock di oggi, quel desiderio di schiacciare il piede su un fuzz e sentire un’esplosione che sei tu stesso a provocare.
08 – Ringraziandoti per la disponibilità Johnny ti chiedo di farti da solo un augurio, il migliore possibile, da qui ai prossimi 6 mesi.
Ringrazio te per questa bella intervista e mi auguro di spezzare meno corde possibili nei prossimi concerti.