Godeva di “coperture politiche e amministrative” di alto livello e si muoveva nei meandri di una gestione dei rifiuti “opaca e melmosa”. Una situazione in cui “i controlli interni della Regione Veneto non hanno in alcun modo funzionato”, tanto da consentire al dirigente di “operare illecitamente per circa tre lustri” nel settore delle autorizzazioni ambientali. È un atto d’accusa pesante, che chiama in causa anche la giunta leghista di Luca Zaia, la proposta di relazione sul Veneto firmata dal presidente della Commissione bicamerale d’inchiesta sui rifiuti Alessandro Bratti e dai relatori Miriam Cominelli e Alberto Zolezzi. Al centro del report, che verrà sottoposto a discussione e approvazione entro la fine di maggio, una vicenda considerata “cartina di tornasole di un contesto di illegalità diffusa, di controlli insufficienti e di carenza sanzionatoria” in Veneto: quella dell’ingegner Fabio Fior, dirigente regionale del settore ambiente che per quasi 15 anni, “dal 2000 al 2014”, ha gestito il sistema delle autorizzazioni e dei controlli su impianti e discariche. Finito nel mirino di un’inchiesta della Procura di Venezia, Fior è stato condannato, lo scorso 21 ottobre, a tre anni con il rito abbreviato per associazione a delinquere, abuso d’ufficio e falso.
Il funzionario condannato? “Ha operato impunemente con la connivenza di tanti”
L’ingegner Fior, considerato il ras regionale dei rifiuti, secondo i relatori “ha operato impunemente senza controllo alcuno e con la connivenza di tanti”, in un arco di tempo che abbraccia le due giunte Galan e quella, in carica, di Zaia. Le vicende giudiziarie a suo carico riguardano alcuni dei più rilevanti scandali ambientali veneti: dai rifiuti di Marghera impastati sotto alla rampa dell’autostrada di Roncade a Treviso, alle scorie di acciaieria smaltite sotto al parcheggio P5 dell’aeroporto Marco Polo di Venezia, fino al peculato milionario sulla forestazione della discarica di Sant’Urbano a Padova. L’accusa al dirigente del settore ambiente Fior, in sintesi, è di aver acquisito da imprenditori del settore rifiuti incarichi retribuiti per il collaudo di numerosi impianti e discariche nelle diverse province del Veneto, pur avendo partecipato alle sedute della commissioni tecniche che ne avevano rilasciato le autorizzazioni. Consulenze incompatibili, sottolinea la bozza di relazione, in virtù del suo ruolo al contempo di responsabile del settore ambiente della Regione, vicepresidente della Commissione tecnica regionale ambiente e di quella per la Valutazione di impatto ambientale. E che in alcuni casi hanno comportato conseguenze importanti sull’ambiente e sulle casse regionali. Vicende per cui il 21 novembre scorso è stato condannato anche dalla Corte dei Conti a un risarcimento, nei confronti della Regione Veneto, di 284mila euro.
Autorizzatore, ma anche collaudatore. Arsenico e piombo finiscono sotto l’autostrada
Uno dei casi più significativi è quello della ditta Mestrinaro di Zero Branco, in provincia di Treviso. I suoi responsabili avevano già patteggiato una pena nel 2007 per gestione abusiva di rifiuti, condonata grazie all’indulto, quando la Regione Veneto ha concesso l’autorizzazione integrata ambientale per la loro ditta di trattamento di rifiuti speciali nel trevigiano. L’ingegner Fior, a capo del settore ambiente della Regione, aveva partecipato alla seduta della commissione Via che aveva dato parere favorevole al progetto. In seguito Fior sarà anche colui che effettuerà il collaudo della Mestrinaro, attestando falsamente, nella relazione di collaudo del 2011, che quegli impianti da lui stesso autorizzati funzionassero perfettamente e che le scorie, una volta trattate, perdessero “la qualifica di rifiuto” e fossero utilizzabili in opere edili e stradali. Ma la ditta Mestrinaro “lavorava gli inerti, costituiti da terre e rocce da scavo, miscelandoli con arsenico, piombo, mercurio e altri materiali – secondo le indagini dei carabinieri del Noe riportate nella relazione sul Veneto della Commissione rifiuti – creando un conglomerato cementizio” di nome “Rilcem” che altro non era se non un modo per “dissimulare ciò che in realtà era rifiuto contaminato”. Le scorie della Mestrinaro sono state utilizzate, come emerso dalle indagini della Dda di Venezia, “nell’intero territorio nazionale per la costruzione di immobili per uso residenziale”, oltre che sotto alla rampa dell’autostrada A4 di Roncade, nel trevigiano, e sotto al parcheggio P5 dell’aeroporto Marco Polo di Venezia. Nel 2014 la ditta è stata dichiarata fallita, rendendo vane le sanzioni della magistratura e ogni forma di risarcimento.
Padova, cinque milioni di euro per il bosco che non c’è
Secondo le indagini della magistratura, riassunte dalla Commissione rifiuti, anche il progetto regionale per il rimboschimento di una discarica nel padovano voluto e gestito dall’ingegner Fior si è trasformato in una truffa da 5 milioni di euro. Si chiamava progetto “Bosco”, e doveva servire alla piantumazione di alberi vicino alla discarica di Sant’Urbano, in provincia di Padova. E i cittadini dei comuni limitrofi, in virtù di una delibera regionale del 2005, avevano anche pagato per anni una tariffa di 10 euro a tonnellata (poi ridotta a 4) per la sua realizzazione. Ma di alberi, intorno alla discarica della società Gea del gruppo Green Holding – di proprietà della famiglia lombarda Grossi, i “re delle bonifiche” coinvolti nello scandalo Montecity-Santa Giulia e indagati dalla Procura di Latina per la presunta truffa nella gestione della discarica di Borgo Montello – in più di sei anni ne sono stati piantati solo 2.274. Il costo reale dell’operazione (dichiarata poi “fallita” nel 2012 dalla Regione stessa e dal Comune) è stato di 63mila euro. Però nelle casse della società Green Project, a cui era stato affidato l’incarico “in carenza di qualsivoglia procedura di gara” – e il cui socio occulto, secondo la Procura, era Fior stesso – sono fluiti circa 5 milioni di euro, 2 dei quali giustificati come “costi progettuali e organizzativi”. La regione Veneto nonostante l’intervento successivo dell’avvocatura non è mai riuscita a recuperare dalla Green Project una somma di 3 milioni di euro, “distratta con un giro vorticoso di false fatturazioni per operazioni inesistenti in favore di altre società del ‘gruppo Fior’”.
Il telerilevamento delle discariche abusive. Con gli indagati del Mose
Altra vicenda per cui i pm di Venezia contestano a Fior l’abuso d’ufficio è quella del progetto per il monitoraggio tramite “telerilevamento” delle discariche abusive della regione Veneto. Un servizio affidato, con delibera regionale del 2003, al “servizio informativo” del Consorzio Venezia Nuova (Cvn), già al centro dell’inchiesta sul Mose, e finanziato a più riprese dalla Regione, dal 2003 al 2010, con più di 4 milioni di euro. Al centro dell’inchiesta la stipula della convenzione, firmata nel 2009 con l’intervento dell’assessore regionale all’ambiente Giancarlo Conta, del magistrato alle acque di Venezia Patrizio Cuccioletta e del sindaco del comune di Torri del Benaco, Giorgio Passionelli, rinviati a giudizio lo scorso 21 ottobre. Perché il Cvn non poteva, per legge, attivare nuovi funzioni che non fossero attinenti alla salvaguardia della Laguna di Venezia. E in seguito, “senza gara sono stati stipulati i relativi contratti – ricostruisce la relazione parlamentare – con numerose società tutte collegate agli imputati”, alcune delle quali amministrate da “sodali del Fior, il quale era dominus e ‘socio occulto’ delle stesse”.
La bozza di relazione: “Coperture di assessori e di funzionari della Regione Veneto”
Ma l’ingegner Fior, secondo la Commissione parlamentare sui rifiuti, non avrebbe potuto agire illecitamente per tutti quegli anni senza le “coperture di assessori e di funzionari della Regione Veneto, alcune disvelate dalle indagini della Procura di Venezia, altre rimaste in sottofondo”. Nella relazione si fa riferimento al fatto che, come coimputati nel procedimento, insieme a Fior figurino gli ex assessori regionali all’ambiente Renato Chisso (che ha patteggiato una pena di due anni e sei mesi nell’inchiesta sul Mose) e Giancarlo Conta (giunta Galan), e i funzionari Paolo Zecchinelli e Roberto Casarin, alti dirigenti dell’assessorato e del settore ambiente della Regione. I relatori chiamano in causa anche la giunta regionale presieduta da Zaia, “riuscendo difficile immaginare – si legge nella proposta di relazione – che in periodo di tempo così lungo (2000-2014) nessuno si fosse accorto dell’attività illecita che il Fior andava consumando senza ritegno”. Insoddisfacenti sono state giudicate le argomentazioni del presidente Zaia, che nel corso dell’audizione del 27 novembre 2014 a palazzo San Macuto aveva preso subito le distanze dai guai giudiziari del dirigente: “La vicenda di Fior, tanto per non girarci attorno, risale al 2010 e riguarda un dipendente che non era più all’ambiente, perché con noi il dottor Fior è passato all’energia. Dal 2010, con la mia elezione, il dottor Fior non si occupava più di ambiente”.
Zaia: “Ma noi lo abbiamo trasferito”. Le accuse però arrivano fino al 2014
Uno “spartiacque”, quello operato da Zaia tra quanto accaduto prima e dopo il 2010 – anno dell’insediamento della sua giunta regionale – che non regge alla prova dei fatti secondo i commissari parlamentari. Molte condotte contestate dal pm a Fior infatti “si sono protratte ben oltre il 2010, e alcune di esse sono cessate solo con il mese di ottobre 2014, a seguito dell’esecuzione della misura cautelare”. Tra cui il caso della discarica di Sant’Urbano, nel quale la Regione Veneto, sotto la giunta Zaia, “ha continuato a corrispondere alla Green Project srl del Fior somme di denaro (…) fino a circa due anni dopo l’insediamento del Conte negli uffici dell’Assessorato all’ambiente”. Infine, prima dell’arresto, Fior era stato assegnato al delicato progetto della macroisola “Fusina” di Porto Marghera e al settore “Patto dei sindaci” per i piani d’azione per l’energia sostenibile. Un altro caso di inerzia della politica in cui “solo l’azione della magistratura inquirente ha consentito di spezzare il filo del malaffare, che operava all’interno della Regione Veneto”. Diversi reati contestati al funzionario sarebbero stati, al contrario, consumati proprio dopo il trasferimento del 2010 del dirigente al settore energia che “non aveva intaccato minimamente i suoi poteri”. Come nel caso del falso ideologico in concorso con Paolo Zecchinelli, segretario dell’assessore regionale all’ambiente, che avrebbe autorizzato Fior a svolgere i collaudi degli impianti delle ditte Mestrinaro (Treviso), Etra (Padova) e Pro-in (Verona) attestando che non vi erano cause di incompatibilità, reato commesso “il 26 febbraio 2013 quando assessore all’ambiente era Maurizio Conte e la giunta regionale era presieduta da Luca Zaia”.