L'incremento delle emissioni di anidride carbonica spinge le piante a intensificare il processo di fotosintesi, aumentando così la copertura delle foglie. Un team internazionale di 32 studiosi provenienti da 24 istituzioni scientifiche di 8 Paesi è arrivato però alla conclusione che questo "effetto greening" non durerà nel tempo
La Terra è diventata più verde negli ultimi 35 anni. Può sembrare una buona notizia, ma paradossalmente non lo è. Il merito non spetta, infatti, a nuove politiche globali di salvaguardia dell’ambiente. A spingere le piante a intensificare il processo di fotosintesi, aumentando così la copertura delle foglie, è soprattutto l’incremento delle emissioni di anidride carbonica, “mai così alte negli ultimi 500mila anni di storia ecologica del Pianeta”. Un aumento corrispondente al doppio della superficie degli Stati Uniti. “Effetto greening”, lo chiamano gli scienziati. Una sorta di azione fertilizzante, che gli esperti hanno analizzato attraverso i satelliti della Nasa e del Noaa, la National oceanic and atmospheric administration Usa.
La ricerca, pubblicata su Nature Climate Change, è firmata da un team internazionale di 32 studiosi provenienti da 24 istituzioni scientifiche di 8 Paesi. Tutti concordi nel ritenere che i dati sull’aumento delle zone verdi indichino, in realtà, una reazione di difesa della Natura: alberi e piante sono, infatti, costrette ad aumentare il fogliame per potere assorbire il sovrappiù di CO2 dell’atmosfera. “Una reazione di difesa destinata a non durare nel tempo – spiega Philippe Ciais, tra gli autori dello studio -, perché necessita di grandi quantità di fosforo e acqua, che iniziano a scarseggiare sulla Terra. Inoltre, i momentanei benefici sono inferiori ai danni causati da un aumento delle emissioni di CO2, come l’innalzamento dei livelli delle acque, l’acidificazione dei mari e la maggiore siccità. Conseguenze che – aggiunge l’esperto – possono mettere a dura prova le risorse vegetali del Pianeta e, a lungo termine, comportare una riduzione della massa fogliare globale”. “Il cosiddetto greening – gli fa eco Zaichun Zhu, dell’Università di Pechino, primo autore della ricerca – rischia di cambiare radicalmente la ciclicità dell’acqua e del carbonio nel sistema climatico”.
Intanto, la Nasa e il Noaa hanno reso pubblici i dati di aprile delle temperature superficiali del Pianeta. Mostrano nell’ultimo mese un aumento di più di 1 grado centigrado, +1,1 °C è la cifra esatta, rispetto alla media del secolo. È il settimo mese consecutivo che si registra quest’anomala impennata. Un trend che, secondo gli esperti, spinge il 2016 verso il poco invidiabile record di anno più caldo da quando, era il 1880, gli scienziati hanno iniziato a misurare le temperature terrestri. E che si avvicina pericolosamente al limite di 1,5 °C in più rispetto all’era pre-industriale, uno dei punti principali dell’accordo sul clima della conferenza “Cop21” di Parigi, ratificata all’Onu nelle scorse settimane da 175 Paesi.
Una diminuzione delle temperature potrebbe arrivare alla fine del 2016, quando “El Niño”, l’aumento delle temperature superficiali dell’Oceano Pacifico, uno dei fenomeni tropicali periodici alla base del motore climatico terrestre, lascerà il posto al fenomeno contrario: La Niña. “Stiamo registrando una notevole quantità di acqua fredda in superficie vicino le coste oceaniche del Sud America”, afferma Michelle L’Heureux, del Climate prediction center del Noaa. Un mutamento da tenere sotto controllo, perché accompagnato in genere, secondo gli esperti, dalla “comparsa di una stagione di uragani”.