Le vignette di Khalid Albaih ritraggono prepotentemente il mondo e le questioni di oggi. Trentasei anni, vignettista sudanese costretto a vivere in esilio a Doha in Qatar, Khalid è cresciuto a pane e politica: figlio di un diplomatico del Sudan di base in Romania, oggi lavora come responsabile delle installazioni al Qatar Museum Authority ma il 90% del suo mondo è online, come sottolinea lui stesso. Grazie alla rete, infatti, i suoi disegni sono diventati il simbolo della Primavera araba e hanno fatto il giro del mondo per poi essere trasformati in stencil e riprodotti sui muri di Beirut, de Il Cairo e del Medio Oriente. Il più conosciuto è l’immagine dell’ex Presidente egiziano Hosni Mubarak ritratta accanto alla parola Egitto, che ha fatto da sfondo alle proteste di piazza Tahrir del 2011.
Il suo essere “artivist“, un artista/attivista, gli è valso il soprannome di “artista della rivoluzione“, dopo le proteste del 2011: “Certo, è un onore. Ma anche altri artisti hanno partecipato alla rivoluzione. Eravamo in centinaia a disegnare. Io sono solo fortunato ad aver attirato l’attenzione postando i miei lavori in rete. Molti, invece, sono morti a causa dei loro disegni”. L’Huffington Post lo ha descritto come uno dei cinque vignettisti che lottano per la libertà d’espressione, una conseguenza che Khalid descrive come un nuovo atteggiamento dei media nei confronti dei musulmani: “Quando ho letto quell’articolo non sapevo se essere arrabbiato o contento – ironizza – Oggi, il problema dei media è che vogliono convincere la gente che i musulmani sono “brave persone”, come se in realtà non lo fossero. Dicono: “Guardate, è musulmano. É diverso ma è ok!”. Sta accadendo perfino con il nuovo sindaco di Londra: sono contento che in tanti parlino di lui, ma è il motivo a essere sbagliato. Sadiq Khan è stato votato perché aveva un programma che piaceva alla gente. Non ha vinto perché è musulmano. Questa non è inclusione, è un modo per sottolineare ancora di più il nostro essere distanti ed estranei”.
Dopo la strage nella redazione francese di Charlie Hebdo, molti si sono rivolti a Khalid perché vignettista e musulmano: “Mi hanno chiesto cosa pensassi, anche se in realtà non conoscevo bene il giornale – racconta – da disegnatore credo che ognuno di noi sia libero di dire ciò che vuole ma bisogna comprendere la situazione in cui si parla, prima di ogni altra cosa. Quello che trasmetti dipende da te come artista: vuoi costruire ponti o distruggerli? Vuoi essere l’uomo che inizia una guerra o che da il via a un dialogo? Dipende da te, soprattutto in questo periodo. Non è autocensura, è comprensione del contesto. Per questo non ho mai condiviso la linea di Charlie, quel tipo di satira è profondamente egoistica così come è egoistico sentir dire da un vignettista “questa è la mia opinione e non mi importa quello che pensi tu”. Non si può fare qualcosa solo perché si ha il diritto di farla”.
Nei suoi disegni Khalid ha un obiettivo preciso: “unire e non dividere, creare un dialogo costruttivo con il pubblico e invogliare a riflettere“, avendo conto del contesto in cui opera. “Spesso questa attenzione viene bollata come autocensura – spiega – in particolare in Europa, dove il concetto di libertà di espressione è profondamente diverso dal nostro. Qui dire quello che si vuole è un diritto, ma a volte si esagera, e si è troppo superficiali. E’ qualcosa di profondamente contraddittorio”. Unitosi ai disegnatori di tutto il mondo che hanno denunciato, attraverso i loro disegni l’attacco terroristico di Charlie Hebdo, Khalid ha espresso su carta il suo pensiero e la sua posizione, rappresentando un uomo con un mappamondo al posto della testa e un terrorista: entrambi puntano il dito contro un musulmano accusandolo uno di stare con i terroristi a causa della sua fede islamica, l’altro con gli infedeli occidentali. Alle accuse l’uomo risponde: “Sono solo un musulmano”.
Tra le ultime vignette di Khalid ce n’è una che vuole essere un “invito a riflettere” dopo l’uccisione di Giulio Regeni. Nel disegno il ricercatore assassinato è rappresentato in due versioni contrapposte: in una ha la pelle chiara, nell’altra scura. Sotto una domanda: “Se fosse stato uno studente africano avremmo mai saputo il suo nome?”. “Ogni giorno centinaia di persone muoiono e nessuno ne parla. Difronte al Governo egiziano, noi tutti siamo diventati numeri – spiega Khalid – questa è la realtà a cui dobbiamo guardare: quando Giulio è stato ucciso, il caso è diventato internazionale. Se questo non succede per ogni vittima è colpa nostra e dei nostri governi. Siamo noi a dover reagire”.