L’impegno pubblico di un magistrato per il “No” al referendum costituzionale, ha scritto Eugenio Scalfari nella sua rubrica sul settimanale l’Espresso, “reca a un cittadino qualunque come me notevole disagio”. Spiega Scalfari che, nel caso gli capitasse di subire un processo in cui il giudice fosse proprio quel magistrato, il disagio diventerebbe ancora più grave, perché “potrebbe verificarsi che mi dia ragione perché abbiamo votato entrambi “No”, come infatti avverrà per quanto mi riguarda visto che l’ho già detto e scritto più volte. Ma io potrei in quel caso pensare che mi ha dato ragione perché abbiamo votato nello stesso modo. Se invece io avessi votato “Sì” e per caso lui mi condannasse, io potrei credo appellarmi alla Cassazione adducendo una condanna ingiusta e chiedendo d’esser giudicato da un altro tribunale”.

E dunque “ecco perché non è affatto vietato a un magistrato avere convinzioni politiche anche profonde, ma di renderle esplicite e addirittura farne oggetto di militanza pubblica per convincere altri a seguirlo”. La tesi non è nuova e certamente siamo tutti d’accordo sul fatto che anche un magistrato è un essere umano e non può essere una tabula rasa, ma ha opinioni e convinzioni come tutti gli esseri umani. Resta invece misterioso il motivo per cui dovremmo pensare che rischierebbe di esserne influenzato nello svolgimento delle sue funzioni solo nel caso le rendesse pubbliche. Pare che un magistrato che non renda note le sue opinioni sarebbe per questo automaticamente immune da qualsiasi forma di influenza nell’esercizio delle sue funzioni, mentre non lo sarebbe più se le esplicitasse. E perchè mai?

La capacità di mettere da parte le proprie idee mentre si esercita la giurisdizione dipende dall’onestà e dalla serietà della persona, non dal tenere più o meno segrete quelle idee. Non vi sentireste più tutelati da un magistrato che rende noto il suo orientamento proprio perchè, nel prendere le sue decisioni, sarà portato a stare attento a non lasciarsene influenzare più di chi lo tiene nascosto?

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