Per gli storici il paragone con il Cile non regge, ma la preoccupazione per quello che potrebbe accadere è forte. Ricardo Cusanno, vicepresidente della Federcamere venezuelana: "Il Paese ha gli strumenti politici per uscire dalla crisi. Ma la fame ha tempi diversi da quelli della politica e temiamo che vi possa essere una reazione sociale”
Stare in coda 5-6 ore per entrare e fare acquisti nei negozi e supermercati, quasi sempre vuoti. Andare in farmacia e non trovare il farmaco che si sta cercando. Lavorare con blocchi programmati di energia e la mancanza d’acqua. È questa la realtà che da mesi stanno vivendo molti venezuelani, e che in tanti paragonano a quella del Cile di Salvador Allende prima del golpe di Pinochet. Lo stesso presidente del Venezuela, Nicolas Maduro, ha più volte richiamato la figura del suo omologo cileno, affermando che la classe borghese del suo paese gli sta “facendo la guerra in modo simile a quella subì Allende 40 anni fa”, e che il suo paese è vittima di una “campagna spietata, mediatica e politica” lanciata per favorire “un intervento militare diretto dall’estero” contro il suo governo.
L’ultimo caso è quello di Polar, la principale azienda alimentare del Paese, che ha fermato la produzione di birra nell’impossibilità di poter accedere alle valute estere senza cui non può importare le materie prime necessarie. Ma come accusa il Psuv, il partito di Maduro, in un video postato su Twitter, “Polar è il principale promotore del boicottaggio. Non coltiva, ma dipende dagli investimenti e importazioni che fa lo stato venezuelano. Polar non produce alimenti, ma compra e rivende grazie allo sforzo di altri”. E tante altre sarebbero le imprese ferme per mettere in ginocchio il regime chavista. Gli imprenditori dal canto loro respingono al mittente le accuse. Ricardo Cusanno, vicepresidente della Federcamere venezuelana, precisa che “se le imprese non funzionano – sottolinea Cusanno al fattoquotidiano.it – è perché mancano le materie prime e i dollari per pagare i fornitori internazionali.
Inoltre in tutto il paese ci sono cinque black out programmati al giorno. E se si hanno le materie prime e la luce, manca l’acqua. È difficile mandare avanti un’azienda quando i tuoi lavoratori devono stare 5-6 ore in fila per fare la spesa”. Quella delle occupazioni delle fabbriche non è comunque una politica nuova in Venezuela. “Negli ultimi 9 anni – precisa Cusanno – il governo ha fatto varie confische ed espropriazioni, prendendo in mano imprese in attivo e portandole al fermo produttivo e fallimento”.
Il paragone tra Venezuela e il Cile di Allende, messo in ginocchio anche dallo sciopero dei camionisti e dall‘intervento americano e della Cia, non trova però tutti d’accordo. Per Eduardo Araya, professore dell’istituto di Storia dell’Università Cattolica di Valparaiso, sono più le differenze che le similitudini. “Il contesto storico è diverso, nel ’73, quando ci fu il golpe militare in Cile – spiega al fattoquotidiano.it – c’era la Guerra Fredda, che ora non c’è. Inoltre anche le figure dei due presidenti sono differenti: Allende era un uomo della borghesia, socialista, che per tutta la sua vita è stato senatore. Niente a che vedere col caudillo militare incarnato da Hugo Chavez”.
Nel Venezuela di oggi inoltre “le forze armate hanno molti incarichi e una ramificata partecipazione in diversi settori economici, e c’è un livello di corruzione e criminalità elevatissimo, che in Cile non c’era – continua – Prima del golpe è vero che l’inflazione era molto alta e mancavano beni e cibi, ma non c’erano i problemi dell’acqua potabile ed elettricità che sta fronteggiando oggi il Venezuela”. Il Cile inoltre ha subito una situazione di blocco economico dopo la nazionalizzazione delle miniere di rame, mentre “il Venezuela ha continuato a vendere il suo petrolio, anche agli Stati Uniti, ed è ricchissimo di risorse naturali, anche se la sua economia è basata quasi esclusivamente sul petrolio”.
Secondo Jorge Ramirez, del centro di studi politici Libertad y desarollo, intervistato dal quotidiano cileno La Tercera, “ci sono elementi in comune, in particolare nei progetti di trasformazione sviluppati in ambedue i paesi. Inoltre in Venezuela la gente non ha accesso ai generi di prima necessità, una situazione che a lungo andare può aumentare scontri e mobilitazioni, come accadde durante il governo Allende”. Ma che situazione è possibile prevedere per il Venezuela? La stessa del Cile? Per Araya “ciò che preoccupa di più è la mancanza di dialogo tra i due schieramenti politici. Il referendum contro Maduro non risolverà niente – sostiene – Le cose potranno cambiare solo con un accordo tra governo e opposizione e l’appoggio internazionale”. Cusanno spiega come gli imprenditori siano “a favore di tutte le soluzioni previste dalla costituzione. Non vogliamo l’esplosione del conflitto sociale. Il Venezuela ha gli strumenti politici per uscire dalla crisi. È anche vero però che la fame ha tempi diversi da quelli della politica e temiamo che vi possa essere una reazione sociale”.