A 24 anni dal suo pentimento, ormai uscito dal programma di protezione dei testimoni, il primo boss a parlare dei rapporti tra criminalità torna davanti ai magistrati. Dovrà chiarire anche il contenuto di due interviste al Fatto Quotidiano in cui raccontava di sue attività a Malagrotta e lo smaltimento nel Napoletano di sostanze tossiche
Nunzio Perrella, primo boss pentito di camorra a raccontare i traffici illeciti di rifiuti, è tornato nuovamente a collaborare con la giustizia. Una nuova collaborazione esattamente 24 anni dopo il suo pentimento quando riempì pagine di verbali e consegnò ai pubblici ministeri, all’epoca pm era Franco Roberti, oggi capo della direzione nazionale antimafia, la celebre frase: “La monnezza è oro dotto’”. Una nuova collaborazione che si avvia dopo le rivelazioni al Fatto Quotidiano attraverso due interviste. Nella prima ha raccontato di aver scaricato con la sua impresa anche a Roma nella discarica di Malagrotta e nella seconda ha svelato luoghi dove sarebbero stati smaltiti illecitamente rifiuti tossici. Una rivelazione, quest’ultima, che ha dovuto ripetere e dettagliare davanti agli inquirenti. Colloqui che proseguono perché Perrella, seguito dall’avvocato Fernando Rossi, può tornare utile all’attività dei pubblici ministeri della distrettuale antimafia di Napoli, coordinati dall’aggiunto Giuseppe Borelli. I racconti di Perrella potrebbero servire per fornire riscontri, contribuire alla ricostruzione e approfondimento di piste investigative in indagini ancora in corso sui trafficanti di veleni.
I veleni di Licola sotto 300 case
Di certo gli investigatori cercano riscontri anche alle rivelazioni che Perrella ha consegnato al Fatto Quotidiano. Lo scorso marzo, il boss pentito aveva raccontato, mostrando la pianta dell’area, di una zona contaminata. “C’è un terreno, mai sequestrato, che è una vera e propria discarica abusiva dove sono stati smaltiti i liquidi dell’Italsider e altri rifiuti tossico-nocivi. Si trova vicino a centinaia di appartamenti, a Licola, in provincia di Napoli”. Una discarica circondata da abitazioni, villette abitate da ignari cittadini. Perrella spiega: “Noi anni fa dovevamo realizzare una lottizzazione, la proprietà dei terreni era della famiglia Micillo (Filippo, Enrico). Oggi quelle costruzioni ci sono, 250 abitazioni. Durante l’edificazione sono stati smaltiti rifiuti tossici, in particolare i liquidi dell’Italsider, ma anche spazzatura proveniente dalla Lombardia. Questo è uno schifo”. Quell’area dove sorgeva una cava di pietra di tufo è stata riempita di rifiuti speciali. A metà anni ottanta i camion scaricavano, in via Madonna del Pantano, spazzatura tossica nella buca profonda decine di metri, poi coperta con terreno senza alcun telo di protezione. Su questo indaga la forestale, l’indagine è affidata al pm Catello Maresca. Perrella ha anche aggiunto un’altra zona di smaltimento: “Quando ho fatto rifiuti tossici io li portavo tra Pianura e Agnano, a Napoli, i camion con i rifiuti li scaricavo in un canalone che abbiamo riempito di pattume, ma nessuno ha mai controllato né verificato”. Non solo Campania. Perrella ha spiegato: “Abbiamo smaltito ovunque anche nel centro-nord”. I pm vogliono approfondire da un lato le responsabilità sulla discarica abusiva a Licola, ma anche la rete di insospettabili che ha lucrato sul grande affare in mezza Italia. E così Perrella è tornato a riempire verbali.
Dai capannoni Fiat ai rifiuti
Nunzio Perrella si definisce un boss colletto bianco. Ha mosso i primi affari nell’edilizia. “Facevamo coperture impermeabili, asfalti stradali. Ero subappaltatore di una società di Vicenza. Abbiamo fatto tutti i capannoni della Fiat così come abbiamo contribuito a realizzare il Cis di Nola”. I rifiuti arrivano più tardi con la società Italrifiuti che gli consentiva di guadagnare 200 milioni di lire al mese solo con i rifiuti domestici. Si pente nel 1992 e racconta tutto ai magistrati. Scatta l’inchiesta Adelphi, decine di arresti, finita tra assoluzioni e prescrizioni e pochissime condanne. Perrella è uscito qualche anno fa dal programma di protezione. Ha confessato i suoi crimini, traffico di armi, droga, e poi i rifiuti e ha pagato per le sue colpe. Al termine del programma di protezione ha rimediato anche una condanna per evasione dai domiciliari. “Ho pagato anche per questo, per tutti i miei errori”. A distanza di anni ha deciso di raccontare tutto perché ha visto che molti imprenditori sono operativi e non hanno pagato nessun conto con la giustizia. Ora i magistrati hanno così deciso di ascoltarlo nuovamente. Si ricomincia a verbalizzare. “Molti di quelli che ho denunciato oltre due decenni fa sono ancora attivi. Non è giusto” commenta. Anche per questo il boss pentito è tornato davanti ai pm.
Twitter: @nellotro