Attesisissimo lo show del sassofonista di Los Angeles. Il suo esordio “The Epic”, uscito per la Brainfeeder di Flying Lotus, è stato inserito senza troppi fronzoli tra i migliori album del 2015 dalla maggior parte dei siti e riviste musicali un po' ovunque
Incontri, concerti, conferenze, il Red Bull Music Academy Festival di New York non sorprende ormai nessuno per la qualità della sua programmazione e anche questa si conferma come uno degli avvenimenti musicali più importanti di questa primavera newyorkese. L’Academy ha deciso di regalare una serata dedicata allo space free jazz con il “Where Spaceways Meet: A Night of Spiritual Jazz”, un concerto evento con il trittico Sun Ra Arkestra- Pharoah Sanders- Kamasi Washington. Attesisissimo lo show del sassofonista di Los Angeles. Il suo esordio “The Epic”, uscito per la Brainfeeder di Flying Lotus, è stato inserito senza troppi fronzoli tra i migliori album del 2015 dalla maggior parte dei siti e riviste musicali un po’ ovunque.
D’altronde si tratta di un lavoro strepitoso, quasi tre ore di jazz sperimentale con rimandi non troppo velati allo “space jazz” di Sun Ra, a Coltrane, ai Magma, alle sonorità del Miles Davis anni Settanta passando per il soul e rhythm and blues. Un caleidoscopio di suoni, un concept album molto difficile da descrive ma che invita all’ascolto e a una lunga successione di riascolti. Con un campionario poi di musicisti che vanno dai bassisti Thundercat e Miles Mosley, ai batteristi Ronald Bruner Jr. e Tony Austin, dal tastierista Brandon Coleman al pianista Cameron Graves, da Ryan Porter alla tromba a Patrice Quinn alla voce. Certo questo ragazzone classe ’81 prima di incidere il suo esordio non era propriamente uno sconosciuto, vantando una serie di collaborazioni che vanno da Kendrick Lamar, Flying Lotus stesso, Snoop Dogg, Raphael Saadiq, Gerald Wilson, McCoy Tyner, Freddie Hubbard, Lauryn Hill, Jeffrey Osborne, Mos Def, Quincy Jones, Stanley Clark e altri ancora. Inoltre l’hype mediatico di siti musicali come il popolarissimo Pitchfork, che l’ha etichettato con un bel 8.3, e il fatto di essere uscito per una etichetta come la Brainfeeder avvezza a sonorità elettroniche e di rap sperimentale, hanno notevolmente favorito la popolarità e la curiosità attorno questo talentuosissimo musicista e alla sua band, portandolo poi in ogni dove con un tour mondiale che spesso e volentieri ha registrato sold out, come nel caso della data milanese a novembre dello scorso anno.
La location dell’evento è la warehouse di Green Point a nord di Williamsburg a Brooklyn; un vecchio magazzino portuale sulla riva est side di Manhattan. L’atmosfera all’interno della location è un spettacolo di luci e di proiezioni, con un grande palco circolare posto al centro. Ad aprire lo show e salendo sul palco passando direttamente dal pubblico, rito che si ripeterà per tutti gli artisti a seguire, è la Sun Ra Arkestra del maestro di cerimonia Marshall Allen, unico superstite della orchestra originale fondata negli anni Cinquanta dall’uomo venuto da Marte, sua Maestà Herman Blount aka Sun Ra. Lo show è coinvolgente e l’orchestra dimostra di dare un continuum temporale alle tradizionali sinfonie della storica orchestra. Vestiti con i classici costumi di scena di paillettes e coloratissime papaline, i membri della band seguono passo dopo passo i gesti e i comandi di Allen, e a volte sembra che chiedano addirittura il permesso dell’attacco al gran maestro, che a novant’anni resta uno dei musicisti jazz più anziani in circolazione. Quando Allen attacca con il suo sax il suono è un urlo di disperazione che ricordano le melodie dei più famosi free jazz man della storia. Ma tutta la band risulta essere molto affiatata e coesa; Michael Ray, alla tromba è energia pura, così come il piano di Farid Abdul-Bari Barron e il sassofono contralto di Knoel Scott. La musica, sostanzialmente cinque jam session di generi oscillanti il jazz tradizionale, honky tonk, il ragtime, il blues, il free jazz e una dozzina di altri generi, è un come un mantra religioso che ipnotizza, e le rimembranze a Dizzie Gillespie e Thelonius Monk, solo per citare giusto due influenze, risultano evidenti. Chiudono la performance con la hit “Space is the place”. L’unica stonatura dello show è il poco utilizzo della bellissima voce di Tara Middleton che ha cantato solo in un’occasione mentre per le altre jam si è limitata a tenere la scena come corista.
Poi è la volta di Pharoah Sanders e qui siamo al cospetto di una leggenda che a 75 anni è ancora in possesso del suo sax lacerante come ai tempi delle orchestre con Coltrane, la stessa orchestra di Sun Ra e Coleman solo per citare alcune delle sue leggendarie collaborazioni. Accompagnato da batteria, contrabbasso e piano, Sanders apre con una versione della ballata “The Greatest Love of All” di Michael Masser ed in seguito esegue alcune session di Coltrane tra cui “Olè” applaudita da un pubblico per la maggior parte di giovani ma che dimostra di seguire e conoscere il jazz in modo sorprendente.
E arriviamo a Kamasi Washington e alla sua band al gran completo, che prendono posto sul palco lungo il perimetro, in cerchio per dare allo show un senso di rito. Questo fa si che in qualsiasi posizione uno si trovi avrà sempre qualche musicista di spalle. Il tutto si apre con “Malcom’s theme” cantata dalla Quinn. Poi in successione “Askim”, “Change of the Guard”, “Re Run”, “The Next Step”, “Galaxy Barn”, e come ultimo groove di “The Rhythm Changes” per un concerto che pezzo dopo pezzo acquista sempre più energia e coinvolgimento da parte del pubblico che balla e applaude incessantemente. A prendersi la scena ad un certo punto sono i drummer Ronald Bruner Jr. e Tony Austin con una jam di assolo potentissima suonata in coppia dandosi il cambio, e la parte suonata da Bruner, fratello di Thundercat al basso, ci ricorda che il ragazzo, seppur di importazione jazz, ha iniziato la sua carriera nei Suicidal Tendencies, storica hardcore metal band di LA. Tutta la band suona in maniera disinvolta, affiatatissimi anche perché si tratta di musicisti che hanno cominciato a suonare insieme dai tempi del liceo. Una grazia di suoni e suggestioni jazz, funk, soul, tutta la musica nera racchiusa in jam sessions raffinatissime. Insomma si ha l’impressione di assistere a un rito pari all’intensità di un gospel d’eccezione, un’improvvisazione collettiva di grandissimi musicisti che hanno reso l’evento di Red Bull Academy veramente memorabile.
Di Mauro Tomelli