L’industria creativa, per le comunità che riusciranno a svilupparla e tenersela negli anni a venire, fornirà la numerosa crema dei migliori e più solidi posti di lavoro, in controtendenza rispetto a un mondo in cui tutto è de-localizzabile, ogni richiesta di merci prima o poi si satura, ogni corrente abilità di mestiere finirà vampirizzata dai software. Macchine o non macchine, quel che è certo è che chi reggerà al diluvio e godrà di un reddito si abbufferà di narrazione, intrattenimento, informazione, esplorazione esteriore e interiore. Tutte attività (produzioni) proprie dell’industria creativa. È dunque comprensibile che ogni Paese si preoccupi di averla e di non sguarnirla rispetto ai prodotti importati bell’e pensati e fatti da altre nazioni e culture. Perché si tratta di non farsi marginalizzare in uno dei pochi settori produttivi in cui lo sviluppo del business coincide con quello dell’occupazione e della qualità del lavoro.

Tutto questo dovrebbero spiegarlo al liberalismo a gettone di Daniele Manca che, lo racconta lui stesso il 20 maggio in uno degli usuali corsivi sul Corriere delle Sera, ha sobbalzato leggendo sul Financial Times che “l’Europa si prepara a reagire imponendo ai colossi USA del videostreaming, come Amazon e Netflix“, la presenza obbligatoria in catalogo di una certa quota di prodotti audiovisivi UE, replicando “l’indicazione che vale per le emittenti tv di trasmettere per la maggior parte contenuti europei”. Il che per Manca è un cruccio perché l’Europa, avendo perso sul terreno la partita dello sviluppo dell’on line non dovrebbe tentare ora di metterci una pezza a suon di leggi.

Mentre a noi pare proprio che ogni Paese debba provarci, senza il timore di venir meno alle “regole” del mercato internazionale, quel ben noto luogo di eleganti fraseggi accademici. Perché lì, altro che storie, il gioco è duro e a lasciar fare si va regolarmente sotto. Su una cosa però Manca ha ragione: le leggi che impongono norme protezionistiche sarebbero presto inefficaci se non fossero accompagnate da altre norme che favoriscano il solido sviluppo delle industrie nazionali, fino al punto che queste siano in grado di difendersi da sole, senza più nascondersi dietro le gonne del doganiere.

Tutti i Paesi Europei di maggior peso ci stanno provando: i più bravi finora sono gli inglesi che, al solito in questo campo, hanno capito prima il problema e raccolto i primi tangibili successi, creando un sistema esemplare di rapporti fra i loro broadcaster e i loro produttori indipendenti che proietta all’esterno l’intero sistema dell’audiovisivo; la Francia ha finora scelto il più classico statalismo, ma si sa, loro sono fatti così; l’Italia da un po’ sembra orientata a mettersi sulla scia dei britannici. Come che vada, si tratta di questioni dove non basta sventolare i sacri principi, ma bisogna puntare al risultato. E anche i corsivi del Corriere possono aiutare. Purché utili, e non a tirar via.

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