E’ arrivato a Trani “come un re senza corona e senza scorta”, a bordo dell’auto privata del pm Michele Ruggiero, quello che ha messo sotto inchiesta i colossi della finanza, senza autista e senza auto blu a seguito. Ruggiero quando gli chiedo dell’anomalia mi risponde: “Sono andato io a prenderlo in aeroporto, i cittadini devono sapere che siamo cittadini semplici, a loro disposizione”. E’ il presidente dell’Anm Piercamillo Davigo; sulla piazza di Trani dove si fronteggiano tribunale e cattedrale, ad attenderlo ci sono le auto blu delle autorità presenti che, invece, quelle sì, ingorgano gli spazi.
Lui, Davigo, non si ferma coi giornalisti ma prosegue dritto verso i ragazzi del liceo che lo aspettano per questa lezione particolare sulla legalità. I due giudici entrano insieme, Ruggiero e Davigo e mi sembra di rivedere quella foto simile al quadro “novecento” nella quale Di Pietro, Colombo, Borrelli e Davigo, più giovani e con “la tigre negli occhi”, attraversavano i corridoi del Palazzo di giustizia di Milano.
Oggi, la tigre negli occhi c’è sempre e da quando Davigo è stato eletto Presidente dell’Anm, ricomincia il suo, forse, decimo “giro d’Italia” nelle scuole, tra i ragazzi. Ruggiero mi dice: “E’ dai ragazzi che bisogna ricominciare per seminare il convincimento che la legalità conviene”. Intanto i ragazzi sembrano in sintonia con questi due giudici che ricordano i loro colleghi che hanno sacrificato la loro vita per lo Stato, e che si prestano a tutte le torture fotografiche e social che solo le scolaresche ed i loro professori sanno mettere in campo in queste occasioni: estenuanti foto di gruppo, selfie e dirette Facebook che rispediscono a Roma e Milano Davigo e Ruggiero nell’istante di un click.
Davigo interviene e parla ai ragazzi. La giustizia come garanzia per il rispetto dei diritti umani, l’articolo 2 della Costituzione, la nobiltà della professione, il sacrificio dei magistrati che avviene solo in Italia per via delle sponde negli apparati statali su cui hanno potuto contare mafia e terrorismo e poi ai ragazzi nel massimo dell’attenzione, “quando ho deciso di fare il magistrato mi sono detto che per fare questo lavoro, vale anche la pena di morire. Non c’è niente di più nobile che rispondere alla necessità di giustizia che ci chiedono i cittadini”. Eccolo l’inno dei servitori dello Stato che riecheggia, aleggiando tra quei ragazzi assetati di futuro: “Siam pronti alla morte…”. Una lezione straordinaria nelle parole e nei simboli, di 12 minuti che contiene la vita e l’innamoramento di uomini verso lo Stato, la democrazia, le regole. I ragazzi la percepiscono e si capisce che è diretta a loro.
Allora mi è venuto in mente che un nome alla Giustizia dovranno pur darlo, questi ragazzi e i 27 giudici uccisi, come tutti gli uomini delle forze dell’ordine, dei politici, dei giornalisti, tutte le vittime di questa guerra che ormai supera i cent’anni dovranno trovare pace nella verità e nella Giustizia. Sì, non ho dubbi è Marinella, la mitica canzone di De Andrè. E finché ci saranno re senza corone e senza scorte che busseranno alla sua porta, ci sarà speranza di rivederla. Davigo e Ruggiero non smetteranno di bussare alla porta della Giustizia, ne siamo certi, ed i ragazzi di Trani saranno pronti per riceverne il testimone.