Mancava la caduta dell’aereo EgyptAir per completare il quadro disastroso in cui si trova il paese. C’era già stato il disastro dell’aereo russo ad opera dei terroristi, che aveva fatto registrare una diminuzione considerevole di turisti. A questo si deve aggiungere il caso Regeni. A proposito, a che punto siamo arrivati sulla vicenda, dopo che sembrava che dovessimo invadere l’Egitto e metterlo a fuoco e fiamme se non avessero dato spiegazioni accettabili sull’assassinio del ricercatore italiano? In questa sequela di avvenimenti infausti bisogna registrare anche la collera e le manifestazioni di protesta popolare all’annuncio della cessione all’Arabia Saudita delle isole egiziane nel Mar Rosso, di Tiran e Sanafir, che sanciscono la dipendenza economica del paese dai sauditi. Quest’ultimo avvenimento ha fatto venire a galla le contraddizioni che esistono in Egitto tra diversi poteri: l’esercito, la polizia e il Ministero degli Interni.
Non si tratta più di sospetti, gli oppositori iniziano a metterci la faccia, come l’ex generale Ahmed Chafik che fu sconfitto di poco alle elezioni presidenziali contro Mohamed Morsi dei Fratelli Musulmani. Chafik, amico di Mubarak, che nel 2011 lo nominò primo ministro nel tentativo improbabile di calmare le proteste, ha criticato apertamente Abdelfattah Al-Sissi accusandolo di aver svenduto la sovranità nazionale cedendo le isole ai sauditi e più in generale criticandolo per la sua incapacità di gestire il paese. E non è un caso isolato. La televisione ha ospitato commentatori che si sono espressi in maniera critica verso Al-Sissi, e il fatto ha una certa rilevanza, conoscendo la censura ferrea che esiste in Egitto. Così come sono rilevanti gli atteggiamenti critici di alcuni giornali, tra questi Al-Masri Al-Youm, proprietà del ricco e potente magnate delle telecomunicazioni, Naguib Sawiris, il quale aveva appoggiato Al-Sissi quando si trattò di far cadere Morsi e il governo dei Fratelli Musulmani, mentre oggi non esita a criticarlo apertamente.
E il governo in carica, il presidente che cosa fa? Applica una vecchissima formula: abbandonare la politica e implementare la repressione e la violenza verso il dissenso. Il 25 era il giorno in cui in Egitto si celebrava il ritiro di Israele dalla penisola del Sinai nel 1982. Tutte le manifestazioni sono state vietate e già qualche giorno prima la polizia aveva fatto diversi arresti di giovani nei caffè e negli internet point, perché il governo aveva vietato ogni manifestazione. Ma i social network hanno continuato a funzionare e coagulare la rabbia dei giovani contro questo divieto e contro la cessione delle isole di cui parlavamo all’Arabia Saudita. E nonostante i divieti, le manifestazioni hanno avuto luogo, così come gli innumerevoli arresti non solo di giovani ma anche di giornalisti e gente comune che continua a sfidare i divieti del governo. Ora la questione è la seguente. E’ indubbio che il regime di Al-Sissi si trovi in difficoltà dovendo affrontare anche un’altra emergenza: quella del terrorismo nel Sinai e nella capitale. Il gruppo Ansar Beit Al-Maqdes risulta molto attivo e, pur avendo siglato una accordo con l’Isis, rimane un gruppo terrorista composto in prevalenza da egiziani.
Gli scontri con la polizia e l’esercito sono frequenti, possiamo dire quasi giornalieri; inoltre un altro compito non certo facile è il controllo del traffico di armi ed esplosivi attraverso la frontiera di Gaza. La caduta di Morsi era stata salutata in occidente come la fine di un progetto della Fratellanza Musulmana di creare uno stato, l’Egitto, fondato sulla sharia, e, se pure in maniera non certo democratica, si salutò la vittoria di Al-Sissi come una nuova fase. Tutti sembravano contenti: la vecchia classe politica legata a Mubarak, l’esercito e la polizia che mantenevano i loro poteri e le loro ricchezze, la gente comune che si liberava da quella cappa dei Fratelli Musulmani e del loro progetto di islamizzare la società. Bene. Ma non tutte le ciambelle riescono col buco. Al-Sissi non ha alcun progetto politico e non si può governare un paese che è riuscito a fare una rivoluzione soltanto con grandi annunci e nessuna concretezza. Inoltre, e questo può essere un insegnamento per quanti hanno parlato di inverno delle rivoluzioni arabe, nella società egiziana come in quella tunisina e in altre ancora vi è un fiume carsico che sta continuando a scavare. Speriamo che l’Europa abbia la capacità di intercettare questa voglia di cambiamento.