No, io non lo credo. Se vissuta con consapevolezza, resta una delle poche, valide, speranze per l’umanità. E la scienza lo conferma: ridurre il consumo di carne è necessario. Lo scorso ottobre, l’Agenzia Internazionale sul cancro dell’Oms aveva puntato il dito contro le carni lavorate (wurstel, hot dogs, prosciutto, salsicce, carne in scatola, preparazioni e salse a base di carne). Queste carni sono state classificate dalla Iarc nel gruppo 1, insieme ad altre 115 sostanze che causano il cancro a pericolosità più alta, come il fumo, l’alcol, l’amianto, l’arsenico e il benzene. Lo studio ha evidenziato che consumando una porzione al giorno (50 gr) di carne lavorata, il rischio di cancro del colon-retto aumenta del 18%. Meno a rischio le carni rosse non lavorate, inserite fra le “probabilmente cancerogene”, nel gruppo 2A (dove è stato inserito anche il gliphosate per intenderci). Ovviamente, tutto dipende dalla quantità e dalla qualità della carne mangiata: assumere carne con moderazione, preferibilmente biologica, diminuisce ulteriormente il rischio.
Un recentissimo studio della Oxford University elenca i benefici di una dieta povera di proteine animali. Il rapporto non parla solo di miglioramenti in termini di salute, ma anche benefici ambientali: la transizione verso una dieta vegetariana potrebbe ridurre le emissione di CO2 del 29-70% entro il 2050. Una dieta vegetariana, improntata al buon senso e alla sobrietà, è anche una scelta di non violenza e democrazia. Non violenza verso gli animali, in particolare quelli da allevamento, che nascono, vivono e muoiono in condizioni spaventose. Democrazia verso i più poveri, perché il nostro alto consumo di carne non è estensibile a tutta la popolazione mondiale, non ci sarebbe abbastanza terra coltivabile. Molte terre del sud del mondo, invece di produrre cibo per i loro affamati, producono soia e manioca per il bestiame destinato al nord. Ma ci vogliono 7 calorie vegetali per produrre 1 sola caloria animale… risultato: il 35% di tutti i cereali raccolti nel mondo è utilizzato per l’allevamento.
Anche nel settore del pesce vale lo stesso discorso: i mari si stanno impoverendo a ritmi vertiginosi e i pescherecci industriali si spingono a depredare le risorse del sud del mondo, mettendo in crisi la pesca locale e artigianale. Se le tendenze attuali in fatto di alimentazione dovessero rimanere stabili, le emissioni rilasciate dal settore della produzione alimentare potrebbero aumentare dell’80%, mettendo gli obiettivi globali per la limitazione dei gas serra totali (Ghg) in grave pericolo. Non ci credete? Si calcola che ad una bistecca di carne di bovino di 250 g è associata l’emissione di quasi 3,4 kg di CO2, l’equivalente di un’automobile che percorre 16 km! L’impronta idrica di un hamburger è invece 2400 litri d’acqua. Un piatto di ceci invece, ha un basso impatto idrico ed ecologico, e apporta ben 19 gr di proteine per 100 gr, un terzo del fabbisogno proteico giornaliero di un adulto. L’American Dietetic Association ed i Dietitians of Canada affermano che le diete vegetariane correttamente bilanciate sono salutari, adeguate dal punto di vista nutrizionale, e comportano benefici per la salute.
Sono le diete iperproteiche e ipercaloriche, unite a sedentarietà, a creare grossi problemi alla salute. Ma ridurre il consumo di carne non basta: infatti la CO2 prodotta dalla filiera alimentare non è causata solo dagli allevamenti, ma anche dal trasporto delle derrate, dalla produzione e smaltimento degli imballaggi e dal riscaldamento delle serre. Alimenti vegan imballati, fuori stagione, di serra o esotici, hanno un impatto ecologico paragonabile alla carne. Non nascondo l’irritazione che mi sorge quando vedo consumatori pseudo-alternativi col Suv che vanno al supermercato bio per comprare cibo-pronto-surgelato-vegano-