Rete idrica dissestata, amianto e tubature vecchie. Ma anche le tariffe più alte d’Italia motivate con presunti investimenti per migliorare il servizio. A poche ore dall’apertura della voragine sul Lungarno a Firenze, sotto accusa è finita la società partecipata per la gestione della rete idrica: Publiacqua. L’azienda  non è solo per il 60 per cento pubblica, ma ha anche visto passare nella dirigenza degli ultimi anni alcuni dei nomi più influenti della galassia renziana: dalla ministra Maria Elena Boschi all’ex sottosegretario e direttore de l’Unità Erasmo D’Angelis. Il sindaco Pd Dario Nardella se l’è presa con l’azienda, ovvero con se stesso: “Deve delle spiegazioni a me e ai cittadini”.

L’occupazione renziana delle partecipate, e quindi anche di Publiacqua, arriva nel 2009: l’attuale presidente del Consiglio Matteo Renzi diventa sindaco e mette i suoi nei posti chiave delle aziende che coinvolgono l’amministrazione. Così Marco Carrai finisce a Firenze Parcheggi e Andrea Bacci alla Silfi (illuminazione pubblica), mentre l’importante Publiacqua va nelle mani di Erasmo D’Angelis. A quel tempo era presidente regionale della commissione Ambiente e territorio, ma quello sarà solo il trampolino per la carriera: sottosegretario alle Infrastrutture con il governo Letta, sarà capo dell’unità di crisi con Renzi premier e poi direttore de l’Unità. L’arrivo di D’Angelis porta al primo incarico della ministra Maria Elena Boschi che fa così il suo ingresso nel consiglio d’amministrazione della partecipata: inutile dire che per lei è solo l’inizio del percorso. Da non dimenticare che il presidente attuale è Filippo Vannoni, consulente del governo per le politiche economiche, nominato con decreto del presidente del Consiglio il 12 dicembre 2015: l’incarico scade a dicembre 2017, il compenso previsto è 45mila euro. Vannoni, tra l’altro, è anche marito della dirigente del comune di Firenze ed ex capo di gabinetto di Renzi-sindaco Lucia De Siervo, figlia del costituzionalista Ugo De Siervo, presidente emerito della Corte Costituzionale, da sempre vicino alle posizioni renziane ma ultimamente schierato con il fronte del No al referendum per la riforma costituzionale.

Anche la successione degli amministratori delegati viene dall’orbita del presidente del Consiglio. L’ex ad è Alberto Irace, manager che il leader Pd già aveva voluto nel consiglio d’amministrazione della romana Acea e che prima ancora, nel 2009, era entrato nel cda di Publiacqua nell’epoca di D’Angelis e insieme alla Boschi; l’attuale ad è invece Alessandro Carfì, marito ai Alessandra Cattoi che fu portavoce del sindaco di Roma Ignazio Marino ed ex assessore alla scuola della stessa giunta.

Ma al netto delle nomine e delle carriere, a parlare per Publiacqua sono le pagine dei giornali locali degli ultimi anni: tubi vecchi di 50\60 anni che costringono a interventi di riparazione in centro città per riparare vere e proprie voragini. La società ha invocato interventi per sistemare la rete ad ogni incidente: “Urgenza di rimodernizzare la rete”, disse D’Angelis nel 2010. “Ormai le nostre squadre anche di notte corrono dietro a emergenze causate dalla vetustà della struttura”. Nel 2011 l’azienda ha annunciato interventi per 740 milioni di euro da realizzare entro il 2021. Nel mentre sono continuati gli incidenti: a gennaio 2012 si è rotto un “grosso tubo” a Firenze e 3mila famiglie sono rimaste a secco per 11 ore. Un altro esempio? Il 6 febbraio del 2012 si rompono 120 tubi in una notte sola, con oltre mille segnalazioni a causa del maltempo e i centralini dell’azienda vanno in tilt. L’ex ad Irace nel 2010 disse che “il sistema di Publiacqua era gestito in modo primitivo” e il riferimento era ai problemi nella lettura dei contatori e la riscossione delle bollette.

Nel corso degli anni il balletto è più o meno sempre lo stesso: Publiacqua lamenta la mancanza di fondi, le bollette aumentano e le opposizioni criticano i rincari a fronte degli utili dell’azienda. E intanto continuano i guasti. Senza dimenticare che la partecipata non si risparmia le sponsorizzazioni che provocano le dure reazioni delle opposizioni. “Con la gestione renziana”, denunciarono i consiglieri comunali Grassi e De Zordo, “la partecipata ha dato 215mila euro a Dot media srl, la stessa che ha seguito la campagna elettorale del sindaco“. Sotto accusa periodicamente per i costi anche le campagne pubblicitarie per promuovere la qualità dell’acqua in Toscana.

La gestione renziana coincide anche con un’altra data importante: quella del referendum sull’acqua. I comitati per la pubblicizzazione sono i primi a ricordare che Matteo Renzi nel 2011 si schierò per il “sì” chiedendo che il sistema tornasse pubblico. La frase che ricordano tutti è questa: “Al di là delle interpretazioni politiche il referendum ha dato dei risultati concreti e credo che sia giusto verificare se ci sono le condizioni tecniche ed economiche per rientrare in possesso del 40% di Publiacqua”. Questo non è mai successo. Anzi la legge approvata dal Parlamento, sulla base del testo di iniziativa popolare, è stata stravolta e non prevede più l’obbligo della gestione pubblica della rete. Che intanto a Firenze fa danni. Nonostante i costi per i cittadini e gli utili per la partecipata che ha fatto la ‘storia’ dell’era renziana a Palazzo Vecchio.

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