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Nadia Savchenko, torna libera la top gun ucraina incarcerata in Russia da 2 anni

I negoziati, frutto di un delicato lavoro della diplomazia internazionale, sono andati avanti per settimane: Mosca ha rimesso in libertà l'ex pilota condannata a 21 anni di reclusione perché accusata di concorso in omicidio, mentre Kiev ha rilasciato due 007 russi. Si apre una nuova fase nelle relazioni tra i due Paesi

Nadia Savchenko torna libera. Con uno scambio di prigionieri frutto di un delicato lavoro della diplomazia internazionale, Russia e Ucraina aprono una nuova fase delle relazioni bilaterali segnata da spiragli di pace. I negoziati sono andati avanti per settimane: oggi Mosca ha rimesso in libertà la top-gun ucraina condannata in Russia a 21 anni di reclusione perché accusata di concorso in omicidio, mentre Kiev ha rilasciato due 007 di Mosca, Alexander Alexandrov e Yevgeni Yerofeev, a loro volta condannati da una corte ucraina. I tre sono a vario titolo coinvolti nel conflitto armato nell’est e nel sud dell’Ucraina.

“Ringrazio tutti, soprattutto i morti. Mi scuso se non sono tra loro”, ha detto Nadia in conferenza stampa con il presidente Petro Poroshenko subito dopo l’arrivo a Kiev. “Vorremmo la pace ma per averla, a volte, occorre la guerra”, ha aggiunto, sottolineando tuttavia che “per fortuna ora c’è Minsk“, ovvero l’intesa sottoscritta da Russia e Ucraina per arrivare a una soluzione politica del conflitto militare nel Donbass, costato la vita a diverse migliaia di persone.

La giovane pilota era visibilmente provata, il volto segnato da 709 giorni di prigionia, quasi due anni. Era affiancata dai commilitoni che l’hanno accolta con un abbraccio. Nella sala del palazzo presidenziale era presente anche la madre della militare, anche lei chiaramente commossa, alla quale Poroshenko ha donato un colorato mazzo di fiori. Il presidente ha definito Nadia il simbolo “di una vittoria“. Ha aggiunto che è la stessa che l’Ucraina avrà nell’est del Paese e in Crimea, annessa dalla Federazione russa nel 2014 dopo un controverso referendum che ha sancito la secessione della Penisola da Kiev. Ma si tratta probabilmente più di spunti propagandistici, in una Paese attanagliato da una drammatica crisi economica, che di dichiarazioni di ‘ostilità’ all’avversario russo. Del resto, Poroshenko ha ammesso che far tornare “Nadia a casa” non sarebbe stato “possibile senza gli accordi di Minsk”, che al primo punto prevedono la cessazione delle ostilità e al secondo proprio il rilascio dei prigionieri.

Subito dopo lo scambio tra la top-gun e gli agenti russi, dal Cremlino il presidente Vladimir Putin ha auspicato che l’intesa “possa ridurre la tensione nell’area del conflitto e contribuisca ad evitare queste perdite dolorose e inutili”. In questo quadro, il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni ha detto che questi sviluppo “è molto positivo nei rapporti tra Ucraina e Federazione Russa” e “può contribuire ad alimentare la fiducia reciproca e consentire di rilanciare il dialogo ai fini di una soluzione negoziata e pacifica della crisi in Ucraina orientale”.

Poche ore prima che la notizia si diffondesse, l’ambasciatore degli Stati Uniti in Ucraina, Geoffrey Pyatt, aveva ribadito la linea di Washington: le sanzioni contro la Russia resteranno in vigore finché Mosca non rispetterà pienamente gli accordi di Minsk e fino a quando “l’integrità territoriale ucraina non verrà ripristinata”, ha detto riferendosi alla Crimea. Ma gli analisti sottolineano che gli Usa pensano per la Penisola contesa ad un percorso di medio-lungo termine, nel quale i crimeani dovranno rendersi conto di “aver sbagliato” a chiedere l’intervento russo, perché il gigante ex sovietico “non potrà garantire gli standard sociali ed economici promessi”. E che ora la “priorità” è quella di porre fine allo spargimento di sangue nel Donbass.

Fonti diplomatiche occidentali sottolineano tuttavia che le violazioni del cessate il fuoco nell’est sono quotidiane, e che tutte le parti in conflitto sono responsabili. E che una visione oltranzista del confronto non potrà portare alla fine delle ostilità. In fondo, anche a Kiev in molti concordano sul problema di fondo: i reduci delle due fazioni in lotta, quando tornano a casa, hanno un problema comune. Trovare un lavoro che non c’é.