Il campione (mancato) che l’Italia del tennis aspettava da decenni: Fabio Fognini ormai è diventato solo un buon giocatore da cui non attendersi più nulla di speciale. Eliminato al primo turno al Roland Garros 2016 da Marcel Granollers. Come anche agli Internazionali di Roma, o al Masters 1000 di Montecarlo. Da oltre due anni non azzecca un torneo importante, vittima di se stesso e del suo carattere: è scivolato fuori dalle teste di serie e dai primi trenta del mondo (presto anche dai quaranta). A 29 anni, compiuti ieri e festeggiati con un’altra sconfitta, non è più una speranza e nemmeno una certezza. Solo un rimpianto, una sorta di Balotelli del tennis italiano. Talento da top player, testa quasi da dilettante: il risultato è una triste mediocrità.
Il fallimento a Parigi è l’ultimo di una lunga serie. E non è neppure una sorpresa: al Roland Garros ci era arrivato malissimo. A Roma, ad esempio, è la seconda volta dopo il 2014 che viene eliminato al primo turno tra i fischi del suo pubblico. E l’infortunio agli addominali che lo ha frenato ad inizio stagione non è un alibi. Anche lui ha ammesso che “il problema non è di tennis, ma di testa: nei momenti importanti delle partite non mi riconosco più”. Una crisi talmente profonda da meritare uno stop: “Sono scarico, mi devo fermare: se mi sento bene tornerò a Wimbledon, altrimenti meglio saltare tutta la stagione sull’erba”. Fognini, dunque, si fermerà per un po’ e rientrerà in autunno, sperando di ritrovare se stesso ed una condizione psico-fisica accettabile. Ma l’impressione è che, alle porte dei 30 anni, la sua carriera sia ormai in parabola discendente.
Peccato, perché numeri alla mano Fabio Fognini è stato il miglior tennista italiano dai tempi di Adriano Panatta e dei moschettieri di Cile ’76 che portarono l’Italia in cima al mondo. Da allora un declino costante (la nazionale ad inizio Anni Duemila è sprofondata pure in Serie C) a cui Fognini sembrava aver posto fine. Oggi qualcuno arriva a mettere persino in dubbio il suo talento, alla luce delle continue delusioni. Ma per qualche tempo il ligure è stato davvero un grande giocatore, vicinissimo a diventare un campione. Nel 2011, a soli 24 anni, è arrivato nei quarti di finale del Roland Garros, battendo Montanes in 5 set giocando da fermo per un infortunio (che poi lo avrebbe costretto al ritiro il giorno dopo). Nel 2013 ha vinto Stoccarda e Amburgo uno dopo l’altro, unico italiano a trionfare in due tornei di fila dai tempi di Panatta (che però ci riuscì a Roma e Parigi nel 1976). Nel 2014 è stato 13° nel ranking, e ha riportato in semifinale di Coppa Davis l’Italia a distanza di 16 anni dall’ultima volta. In quell’edizione ha praticamente umiliato Andy Murray, che oggi è l’anti-Djokovic. Ha anche battuto tre volte Rafa Nadal, due sulla terra (è tra i pochi al mondo ad esserci riuscito). Poi, però, qualcosa si è rotto.
A Fognini è mancata la forza mentale per fare il definitivo salto di qualità. La stessa che difetta anche all’interno della singola partita, e che rende ogni suo match un’incognita: impresa o disfatta. Di recente quasi solo disfatte. Le sue intemperanze, che all’inizio facevano sorridere, si sono moltiplicate: dagli insulti al padre a Montecarlo 2014 alle offese razziste a Krajinovic (“zingaro di merda”), alle continue proteste nei confronti degli arbitri. Il suo essere fuori dagli schemi poteva anche diventare un valore aggiunto: in un tennis piatto e monocorde, lui sapeva sempre trovare il colpo ad effetto, in campo e fuori. Alla fine, però, la sregolatezza ha preso il sopravvento sul genio. E Fognini è rimasto vittima di se stesso, un po’ come Balotelli: il ligure non ha mai avuto i suoi eccessi nella vita privata, ma certo gli assomiglia per aver sprecato delle doti straordinarie. Per un motivo o per l’altro, oggi Fognini non è altro che un giocatore di fascia media. Ad ogni torneo, puntualmente, i tifosi continuano a sperare in un suo exploit. Ma visto che gli stessi errori continuano a ripetersi, insieme a fallimenti e delusioni, forse bisogna solo smettere di considerarlo un talento, e accettarlo per quello che è: una grande occasione persa. Poteva essere e non è stato. Il tennis italiano dovrà farsene una ragione.
aggiornato da redazione web alle 16.38 del 26 maggio 2016