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Johnny Depp, il divorzio con Amber Heard e altre considerazioni: star troppo presto, ora a corto di moglie e di ruoli. Lascia perdere, Johnny

La caduta degli dei sembra fare più rumore del solito. Forse perché in Depp si è sempre preferito osservare più l’aspetto estetico che quello professionale. Il tonfo è grande e grosso. L’effetto pompiere di Tim Burton e Jack Sparrow non basteranno più. Buona fortuna Johnny

di Davide Turrini

Lascia perdere Johnny. Concediamogli pure che, come diceva qualcuno, “una persa e cento trovate”, ma l’affanno professionale, relazionale, e finanche estetico, di Johnny Depp è conclamato da almeno qualche anno. Inutile girarci attorno: dopo un apice di carriera, successo, tranquillità, brand della bellezza assoluta ed eterna, pressappoco attorno a fine anni novanta, inizio duemila, il cinquantaduenne del Kentucky, che amava strimpellare la chitarra da ragazzotto, sta facendo scivolare armi e bagagli nell’oblio. Gli agiografi non sanno spiegarselo. I detrattori che gli sparano addosso fin dagli albori l’hanno sempre detto. Questo robusto e affascinante toy boy con spalle e petto scultoreo, chioma fluente, e viso da cucciolo, è sempre stato più forma che sostanza.

Tipico attore feticcio performativo, tutto magnetismo fisico e partiture cinematografiche monocordi, Depp non ha mai variato granché, dentro e fuori dallo schermo, il suo cliché di bello e dannato. Certo, anche Marlon Brando sprofondò dopo l’assoluto degli anni ‘50/’60 e il ritorno con il Padrino, in un cupo, solitario e obeso finale di partita durato oltre vent’anni. Solo che dietro al dio Marlon, forse addirittura bisex, c’era l’Actor’s Studio, c’erano Tennessee Williams ed Elia Kazan, c’era lo spirito ribelle di un mondo che cambiava, il rifiuto dell’Oscar per il “suo” don Vito Corleone perché l’America violentava tende, piume e spirito degli indiani nativi. Per Johnny, che di Oscar ne ha visti passare vicino almeno tre senza mai vincerne uno (c’è un Golden Globe per Sweeney Todd ma non se lo ricorda nessuno), ci fu giusto il suggerimento a recitare di Nicholas Cage, l’amore incondizionato di Tim Burton (alla lunga una relazione reiterata allo sfinimento), un pirata guascone con la matita sotto gli occhi, e un penoso video da furfante su youtube assieme alla oramai fu moglie Amber Heard (la richiesta di divorzio è arrivata, da parte di lei, a pochi giorni dalla morte della madre di Depp) per difendere i propri cagnolini introdotti illegalmente in Australia finiti ad un passo dalla forca.

L’esordio al cinema con Nightmare (1984) di Craven, poi la particina in Platoon di Stone (1986), anticipano la serie tv 21 Jump Street in cui, assieme al coevo Brad Pitt, è tutto zazzera e distintivo. Uno tra i tanti, uno dei tanti. Categoria “Beefcake”. La Hollywood anni novanta fu spietata. Questione di sguardo più che di talento, di prestazione ed esibizione muscolare più che di mimesi attoriale. Depp guadagna la ribalta perché il re della fiaba dark gli “ritaglia” su misura il piangente e definitivo Edward mani di forbice. Lui e Wynona, altro cuore spezzato dal nerboruto Johnny, fanno piangere platee di adolescenti, e non solo, in mezzo pianeta. Depp è star troppo presto. Ha già concluso la parabola. Guardate che si mette a fare immediatamente dopo il capolavoro: l’inguardabile Benny and Joon, il sopravvalutato Buon compleanno mr. Grape, Don Juan de Marco (dove incontra Brando), Dead Man di Jarmush (pure la pellicola d’autore, pure!), il thriller da elementari Minuti contati, un altro meeting con Brando in The Brave. Un “uno, due” che schianterebbe un toro. Invece il nostro si affida prima alla cura Polanski (La Nona porta) e a quella di Gilliam (Paura e delirio a Las Vegas) per poi rilanciarsi con Tim Burton ne Il mistero di Sleepy Hollow. Filmetto, peraltro, ma queste sclliocchezzuole tardo gotiche a fine anni novanta funzionavano assai, soprattutto tra le major hollywoodiane. Giusto il tempo di rimanere a galla. Perché Chocolat, Blow, La vera storia di Jack lo squartatore non si possono definire di certo i film della vita.

Johnny ammicca, fa il verso ai grandi, simula. Arrapa sì la spettatrice, soprattutto, ma il magnetismo è una questione di immobili primi piani, non di carisma in scena. Il marchio seriale Pirati dei Caraibi lo consacra star di un cinema d’avventura fantastico e paludato, ancora una volta senza una vera parte in cui riversare sapere ed esperienza. Tragico e inguardabile il doloroso finale. Salvando Nemico pubblico di Mann, dove permettetemi di dire gli viene rubata la scena da Christian Bale, è tutto un susseguirsi di agonizzanti particine da sottoscala: The Tourist, The Lone ranger, The trascendence, l’ultimo Black Mass con la variante del trucco (pesantissimo!) leggasi “pelata e panza”. L’amico Brad Pitt, per esempio, negli anni dell’invecchiamento ha saputo bucare il granitico monolite del bellone mettendosi in gioco (si vedano i film con i Coen e Tarantino), oltre a qualche killer o cowboy di spessore. Sarà colpa di un pessimo agente, o di una scarsa capacità intuitiva, Johnny rimane a bocca asciutta di ruoli. Ed ingrassa: vistosamente, mostruosamente. All’ultima Venezia a braccetto con la Heard sembrava suo zio. Denti marroni, mani ed occhi gonfi, oltre all’addome prominente. Sarà mica un sex symbol questo? Macinate come vittime sull’altare della dea Venere, le belle Kate Moss e Vanessa Paradis, ora pure il divorzio dalla 29enne Heard sposata un anno fa.

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