“Proponiamo l’intreccio di poesia e impegno civile. Abbiamo bisogno di poeti e contadini. Amiamo chi mette insieme il computer e il pero selvatico”. Parole al vento? Niente affatto. Si tratta di alcuni passaggi del Manifesto di Trevico, redatto dalla Casa della Paesologia. L’obiettivo è quello di risvegliare le coscienze e sollevare l’attenzione sui paesi italiani a rischio spopolamento: “E’ un testo che fa il punto sulle nostre idee e mette insieme varie esperienze in giro per l’Italia”, racconta a ilfattoquotidiano.it Franco Arminio, poeta e ideatore del Manifesto. Tutto parte da Trevico, paese in provincia di Avellino che conta meno di mille abitanti: “Abbiamo aperto una casa in un paese dove le case chiudono”, sottolinea.
Tra canti, balli e poesie, gli abitanti del posto e quelli del circondario hanno iniziato a farsi delle domande sul destino delle piccole realtà: che fine faranno i paesi? Resteranno un vecchio tesoro di cui nessuno avrà più memoria? Riflessioni che hanno scatenato la reazione dei presenti: “Eravamo stanchi di sentire la questione meridionale raccontata da sociologi barbosi – spiega – noi cerchiamo di raccontare questo fenomeno in maniera gioiosa”.
“Abbiamo aperto una casa in un paese dove le case chiudono”
A metà strada tra l’etica e la politica, questo “parlamento comunitario” ha cominciato a camminare sulle sue gambe: “La nostra militanza avviene in maniera naturale – racconta Arminio -, siamo una comunità plurale in cui nessuno viene eletto ma tutti possono dire la loro, con la musica, la poesia, la scrittura”.
Tra un incontro e l’altro, però, si cercano anche le soluzioni. La questione ormai è nota; migliaia di paesi in Italia rischiano di rimanere inabitati, a causa del progressivo invecchiamento della popolazione: “Il quadro demografico fa paura – ammette -, nei posti in cui negli anni ’50 vivevano mille persone ora ce ne sono massimo 200”. Per richiamare l’attenzione sulla questione, gli ‘abitanti’ della Casa della Paesologia hanno avuto anche un’altra idea: un festival (La luna e i calanchi) che si svolge ogni estate ad Aliano, in provincia di Matera, e che nel 2015 ha riunito più di 15mila persone. “Siamo riusciti a creare un clima giovane – racconta – per noi è importante parlare un linguaggio che avvicini soprattutto i ragazzi”.
Già, perché ultimamente stiamo assistendo a un ritorno alla terra che lascia ben sperare per il futuro: “C’è una rinnovata attenzione per l’agricoltura e i giovani sono gli unici che possono invertire la tendenza, tornando in queste zone e ripopolandole”, spiega Arminio.
C’è una rinnovata attenzione per l’agricoltura e i giovani sono gli unici che possono invertire la tendenza, tornando in queste zone e ripopolandole”
Le idee non mancano: “Sia l’arcaico che il digitale offrono moltissime possibilità lavorative – sottolinea -, dalla vendita dei prodotti tipici online alla gestione delle politiche per gli anziani”.
Secondo Arminio, però, c’è bisogno di più coraggio: “Dobbiamo consegnare questi comuni ai ragazzi e dargli tutta la nostra fiducia, magari falliranno, ma io ripongo in loro grandi speranze”. In tutti questi anni, infatti, è stato fatto un grosso sbaglio: “Abbiamo confuso la paesologia con la paesanologia – ammette – e ormai tutti quelli che parlano dei paesi vengono additati come nostalgici, ma non è così”. Per questo con il loro Manifesto hanno deciso di fare un lavoro dal basso: “Chiediamo a tutti come vedono il loro futuro, invitiamo a guardare avanti – sottolinea -, vogliamo lasciarci alle spalle quella tendenza dei paesani a tenere sempre lo sguardo rivolto al passato”.
Un passo da fare alla svelta, prima che un grande patrimonio artistico e culturale rimanga prigioniero di se stesso: “Ci sono tantissimi musei, castelli e chiese che ormai restano aperti solo pochi giorni l’anno – spiega –, noi siamo interessati a riportare alla luce questo straordinario tesoro italiano”.
“Il modello di sviluppo industriale nel ‘900 è stato troppo prepotente e questo ha sminuito il lavoro delle campagne: chi era contadino negli anni ’70 quasi si vergognava a dirlo”
Ma le cause dello spopolamento hanno un’origine ben più radicata: “Il modello di sviluppo industriale nel ‘900 è stato troppo prepotente – ricorda -, e questo ha sminuito il lavoro delle campagne: chi era contadino negli anni ’70 quasi si vergognava a dirlo”. Ora però tutti stanno prendendo coscienza di questo processo malato: “La miopia della politica ha le ore contate, ma non si può pensare di cambiare tutto in pochi tempi, bisogna investire fondi ed energie nel lungo periodo”, spiega Arminio. Una rivoluzione che deve partire dalle coscienze, soprattutto da quelle dei più giovani: “Spesso nei paesi avverto un clima di scontentezza, i ragazzi se la prendono con lo Stato, ma poi se ne restano fermi davanti al bar – racconta –, e invece dovrebbero fare qualcosa, dovrebbero scandalizzarsi per la disoccupazione”. Ma questa battaglia non rischia di trasformarsi in una lotta contro i mulini a vento? “Assolutamente no – sottolinea Arminio – i paesi sono creature forti, non temete”.
(foto di Salvatore Di Vilio)