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Paisiello, il compositore alla corte di Napoleone dimenticato dalla storia della musica. A 200 anni dalla morte la sua Puglia lo celebra

Il 5 giugno 1816 moriva l'artista tarantino che attraversò le corti di mezza Europa, dal Kaiser allo zar. Al festival della Valle d'Itria in scena due sue opere. Ma anche una prima mondiale di Saverio Mercadante, inedito scritto per la corte reale di Madrid

di Fabrizio Basciano

Duecento anni fa, il 5 giugno del 1816, moriva uno degli imperatori della tradizione operistica italiana, il tarantino Giovanni Paisiello. All’età di 76 anni appena compiuti, il grande compositore di scuola napoletana lasciava al suo pubblico una sterminata eredità teatrale, tale da garantirgli una fama che sembrava dovesse essere imperitura. Eppure dopo due secoli, sotto i colpi di una storiografia musicale tutta germanocentrica, il nome di uno dei più grandi musicisti di tutti i tempi non sembra rievocare neanche parzialmente quella grandezza che conobbe in vita: un nome che a Vienna come a Pietroburgo, a Parigi come a Napoli era sinonimo di italianità, dunque di grande musica, brio, invenzione e creatività. Un compositore che fu al servizio dei più grandi sovrani del tempo, dagli Zar russi fino a Napoleone Bonaparte, dagli Asburgo fino ai Borbone, legando purtroppo parte della sua fortuna al continuo saliscendi del potere politico: dopo i profumatissimi ingaggi napoleonici per la direzione della musica di corte alle Tuileries, con un compenso di ben 10mila franchi oltre ai 4800 di vitto e alloggio, tornarono al potere i Borbone e il grande compositore tarantino dovette accettare il declino della sua popolarità, legata ormai alla famiglia Bonaparte.

giovanni paisielloProduzione operistica sterminata quella di Paisiello, circa 94 opere conosciute tra cui non si possono dimenticare titoli come Il barbiere di Siviglia, La molinara (la cui aria Nel cor più non mi sento, resta una tra le più celebri di ogni tempo), e La serva padrona (già precedentemente musicata dal grande Giovanni Battista Pergolesi). Sterminata però, e ingiustamente dimenticata, anche la produzione strumentale, tra messe, mottetti, cantate, quartetti e concerti di vario genere. Alla morte di Paisiello i grandi intellettuali dell’epoca tributarono le proprie memorie, nello stesso anno in cui uno dei suoi maggiori successi, quel Barbiere di Siviglia che a Mozart ispirò le Nozze di Figaro, venne strappato al suo nome dall’allora 24enne Gioacchino Rossini.

A celebrare Paisiello ci pensa il 42esimo Festival della Valle d’Itria, presentato al Piccolo Teatro di Milano, che vanta la direzione musicale di Fabio Luisi. Due sono le opere del compositore tarantino che il Festival ospiterà a partire dal 14 luglio: La grotta di Trofonio, la cui rappresentazione, che ne segna il ritorno sulle scene in tempi moderni, farà d’apertura al festival, e Don Chisciotte della Mancia, entrambe ascrivibili al genere comico.

Ma Paisiello non è l’unico grande nome messo in campo dal festival pugliese. Nel programma (7 opere, 12 concerti, un festival “junior”) c’è anche una prima mondiale, quella della Francesca da Rimini di Saverio Mercadante, opera scritta per la corte reale di Madrid nel 1831 e mai andata in scena a causa di circostanze sulle quali la storiografia deve tuttora far luce. Un’opera dunque inedita il cui manoscritto, come fa notare il direttore artistico del festival, Alberto Triola, rivela “una cura singolare per la scrittura e il dettaglio”, presentando “annotazioni autografe di rilevante valore. Le scelte musicali che Mercadante porta avanti in quest’opera sono degne di un lavoro che pareva destinato ad accendere gli entusiasmi dell’epoca”.

Le tre opere, affiancate dal Così fan tutte mozartiano, dalle Baccanali di Agostino Steffani e da diversi altri momenti sinfonici, si iscrivono tutte nel percorso tematico di questa edizione del festival, “I giochi e gli abissi di Eros”, il cui arco, come scriveva Euripide, da un lato scocca i dardi della gioia e dell’estasi, ma dall’altro quelli della pena e dello smarrimento. Quello stesso smarrimento e quella stessa pena che caratterizzano l’amore maledetto tra Paolo e Francesca, i lussuriosi protagonisti del V canto dell’Inferno dantesco che Mercadante scelse di riportare in vita in un’opera poi mai rappresentata: una specie di maledizione che, oltre all’opera di Mercadante, colpirà anche l’omonimo poema sinfonico del grande violinista italiano Antonio Bazzini, manoscritto che resta ancora oggi lettera, o, meglio ancora, nota morta.

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