In Francia i lavoratori sono meno esposti al rischio tecnostress: infatti è entrata in vigore una legge che impone di non usare le email aziendali in orario extralavoro. Ma come stanno veramente le cose? È una buona legge? E in Italia chi difende i lavoratori dal rischio tecnostress e dalla email addiction? La questione è controversa. Mi occupo di rischi nel lavoro digitale da oltre quindici anni, ho progettato in Italia i primi corsi per la prevenzione del rischio tecnostress, ai sensi del Decreto legislativo 81-2008, ed insegno ai lavoratori e ai manager a difendersi dalle troppe email, troppa connessione internet, troppo tempo trascorso con il cellulare, il pc, il tablet e i social network. Vi posso assicurare: una legge non è in grado di ridurre il rischio information overload, cioè il sovraccarico informativo cerebrale di cui ha parlato per la prima volta il ricercatore americano Saul Wurman.
Una legge, al massimo, può tutelare un diritto (con risarcimento) nel caso in cui un lavoratore dimostrasse che si è ammalato perché l’azienda gli ha imposto di controllare le email anche in orario extralavorativo. Ma anche questo è difficile da mettere in pratica (e da dimostrare). In Francia la nuova legge, in realtà, mette al riparo prima di tutto le aziende da cause milionarie in tribunale, e non tanto i lavoratori. Vi spiego perché. Il lavoro digitale, per sua natura, non conosce pause. Il flusso informativo è sempre presente. Nel momento in cui ti inserisci nel fiume della connessione, stai lavorando. L’unico modo per starne lontano è passeggiare tra i boschi o in riva al mare, senza un cellulare o un tablet. E dal momento che le imprese moderne sono tutte connesse (sempre) e devono far fronte a una crisi economica europea che ancora attanaglia, i lavoratori e i manager sono messi sotto pressione per produrre utili aziendali, vendere, conquistare fette di mercato.
Quindi se sei sotto pressione e hai il divieto di usare l’indirizzo di posta elettronica aziendale, scavalchi il problema usando un indirizzo di posta personale, oppure usi un sms o un messaggio su Whatsapp o Messenger, per contattare il cliente e/o fornire informazioni, preventivi, report, ecc. Addirittura puoi farlo con una telefonata, usando il cellulare personale. Faccio un esempio personale: un dirigente di un’azienda di informatica, presso cui avevo tenuto una formazione sul rischio tecnostress (anche per troppe email), mi scriveva dal suo indirizzo di posta aziendale e da quello personale. L’oggetto della conversazione era sempre lo stesso: il lavoro. Se dunque un lavoratore facesse causa all’azienda per problemi di salute a causa della troppa conessione, cade un capo di accusa importante, perchè il datore di lavoro, ufficialmente, può sempre dire di aver comunicato ufficialmente ai suoi dipendenti di “non usare le email in orario extra lavorativo”.
Quindi ha ragione Jon Whitle, ricercatore presso il Digital Switch in Inghilterra, quando dice al Washington Post che la legge francese in realtà non risolve il problema: al ritorno in ufficio infatti i lavoratori avranno una quantità notevole di email da leggere e il sovraccarico informativo cerebrale potrebbe causare tecnostress (con tutti i sintomi collegati, dal mal di testa, all’ansia, all’ipertensione, calo della concentrazione, e molti altri sintomi anche più gravi). L’aspetto positivo della nuova legge francese è il riconoscimento ufficiale che troppa tecnologia e troppe informazioni fanno male alla salute. E creano drogati digitali.
Infatti l’articolo 25 del disegno di legge recita: «Lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, se mal gestito e mal regolato, può avere un impatto sulla salute dei lavoratori». Ottimo. E’ un grande passo in avanti, rispetto a chi sosteneva che non ci fossero prove (ma da dieci anni di prove nei miei corsi ne fornisco e centinaia). Il punto controverso, però, è quel “se mal gestito”. Chi decide che c’è una cattiva gestione? Il datore di lavoro? Il lavoratore stesso? E come si valuta il peso della connessione digitale che un lavoratore ha nella sua vita privata (uso di chat, internet, social network, ecc), dal momento che potrebbe influire sulla sua salute? Dove sta il confine tra connessione lavoro e connessione vita privata?
Il problema delle troppe email e del tecnostress negli orari di lavoro (infatti non si può più parlare di “luoghi di lavoro”, perché il lavoro è diventato mobile) si affronta suscitando la consapevolezza del rischio nel lavoratore stesso, attraverso corsi di formazione e iniziative di sensibilizzazione sociale, perché è il lavoratore che deve imparare come e perché deve autoregolarsi. In Italia il tecnostress (causato anche da troppe mail aziendali) è una malattia professionale, riconosciuta tale in seguito a una sentenza della Procura di Torino nel 2007. E nel 2015 anche Inail ha illustrato, in un convegno a Rimini, che il lavoro digitale comporta nuovi rischi alla salute dei lavoratori, per cui bisogna intensificare il lavoro di prevenzione e formazione. Ma chi lo mette in pratica? Quali sono le aziende interessate a insegnare ai lavoratori a non usare le mail aziendali in orario extra lavoro? Oppure, quale azienda dice di ridurre l’uso del cellulare perché può causare cancro al cervello? (sentenza Cassazione, 2012) Ben poche, purtroppo. E la politica italiana è ben lontana dall’approvare una legge come in Francia.