Le richiesta di pena al processo di Caltanissetta scaturito dalle dichiarazioni di Spatuzza. I pm in aula hanno chiarito che al momento non ci sono elementi sufficienti per procedere contro possibili "mandanti esterni". L'aggiunto Sava: "Non ci fermiamo, obbligo morale e giuridico". Prossimo round, quello derivato dal recente ordine di custodia per il boss latitante
Cinque ergastoli per altrettanti boss mafiosi, accusati di aver partecipato alla strage di Capaci. È la richiesta avanzata dal procuratore aggiunto di Caltanissetta, Lia Sava, alla fine della requisitoria pronunciata davanti alla corte d’Assise nissena che sta celebrando il processo Capaci bis, quello nato dalle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza. Alla sbarra ci sono Salvino Madonia, Vittorio Tutino, Lorenzo Tinnirello, Giorgio Pizzo e Cosimo Lo Nigro: sono loro i padrini sfuggiti alle accuse per 24 anni, gli ultimi componenti del commando che il 23 maggio del 1992 uccise il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti di scorta.
E mentre il Capaci bis volge al termine, un terzo processo sulla strage Falcone potrebbe partire nei prossimi mesi. Non si tratterebbe però di un procedimento sui cosiddetti mandanti esterni della strage di Capaci, ma solo di un processo in cui confluirà la posizione di Matteo Messina Denaro, l’ultima primula rossa di Cosa nostra per il quale la procura di Caltanissetta ha spiccato un mandato di cattura nel gennaio scorso per le stragi Falcone e Borsellino. Gli inquirenti, infatti, non hanno trovato elementi per battere la pista sui cosiddetti mandanti occulti della strage di Capaci. “Ciò che non è provato non esiste”, aveva detto nei giorni scorsi il pm Onelio Dodero, che durante la sua requisitoria ha ironizzato sul complottismo nato sullo sfondo delle varie piste investigative battute sulla strage. “Sono stufo di sentire che questo ufficio nasconde la polvere sotto il tappeto: il nostro compito è quello di scartare tutto ciò che è contraddittorio e non ha dignità di prova”, ha detto invece Stefano Luciani, che però non ha escluso possibili “cointeressenze di ambienti esterni a Cosa nostra” all’avvio di una fase stragista, anche se ogni elemento raccolto fino ad oggi in questo senso non è da considerare “né esaustivo, né sufficiente”.
Una ricostruzione confermata oggi dall’aggiunto Sava, al momento procuratore ad interim di Caltanissetta, che ha assicurato: “Continueremo le indagini per cercare la verità sulle stragi: ne abbiamo un obbligo giuridico e morale perché siamo consapevoli che nel procedimento concluso e in quello ancora aperto non può esserci tutto”. E se a sentire la Sava, le indagini continueranno a battere la pista sui moventi plurimi e le cointeressenze delle stragi del 1992-93, a oggi la procura di Caltanissetta esclude l’esistenza di mandanti a volto coperto dietro l’Attentatuni di Capaci. Fuori dal processo bis è rimasta dunque la pista che porta a Faccia da mostro, il killer con il tesserino dei servizi in tasca indicato nell’ex poliziotto Giovanni Aiello. “Sono emerse dichiarazioni generiche sulla presenza di soggetti dei servizi segreti, indicati senza volto e senza nome – ha spiegato il pm Luciani – ma sono dichiarazioni che provengono da soggetti non palermitani, inseriti nei piani bassi di Cosa nostra. Nessun capo ha mai parlato di questi fatti”.
Fuori dal procedimento è rimasta anche l’indagine dell’ex pm nazionale antimafia Gianfranco Donadio, che aveva ipotizzato l’esistenza di una doppia carica d’esplosivo piazzata sotto l’asfalto di Capaci, dopo l’intervento di apparati arrivati in sostegno di Cosa nostra, e che adesso si trova nei guai davanti al Csm proprio per quella sua inchiesta, con l’accusa di aver intralciato il lavoro dei pm nisseni. A Caltanissetta, infatti, gli inquirenti sono certi che l’esplosivo utilizzato nella strage di Capaci è quello fornito dal pescatore Cosimo D’Amato, che recuperava dal profondo del mare le bombe inesplose della seconda guerra mondiale. E proprio mentre davanti alla corte d’assise di Caltanissetta venivano formulate le richiesta di pena per gli imputati del Capaci bis, a Palermo un altro collaboratore di giustizia parlava della presunta origine dell’esplosivo utilizzato per le stragi del 1992. “Mi fu riferito che il tritolo per le stragi siciliane è partito dalla ‘ndrangheta, poi non so se è effettivamente così”, ha detto il pentito Consolato Villani deponendo come teste al processo sulla trattativa Stato-mafia. Villani ha fatto cenno ad una nave che trasportava esplosivo, affondata nei mari calabresi, e poi periodicamente depredata dai sommozzatori inviati dalle associazioni criminali. Il riferimento è alla Laura C, la nave da guerra affondata al largo della costa ionica con tonnellate di esplosivo nella stiva, utilizzata dalla ‘Ndrangheta come un vero e proprio “supermarket del tritolo”. Contrariamente a quanto deciso dal pool trattativa, però, le dichiarazioni di Villani non sono state considerate credibili dai pm della procura nissena.