Dopo l'affondo (poi rettificato) sulla Commissione comunale antimafia, il candidato del centrodestra punta il dito sull'abusivismo nell'edilizia pubblica. Ma tra i candidati che lo sostengono c'è il politico di Fratelli d'Italia al quale in primo grado sono stati inflitti sei mesi di reclusione per aver frazionato alcuni servizi sotto la soglia che avrebbe richiesto una gara pubblica. Ai giudici ha detto: "Credevo fosse lecito"
Il candidato sindaco di Milano Stefano Parisi continua a inciampare sulla legalità. Dopo essere stato travolto dalle critiche per il suo affondo sulla Commissione comunale antimafia (poi la marcia indietro in una lettera Il Fatto Quotidiano del 25 maggio: “Frase estrapolata da una riflessione più ampia”), è tornato all’attacco accusando la giunta Pisapia: a Milano “bisogna riportare molta legalità, che è stata un po’ dimenticata negli ultimi cinque anni”, ha affermato da Barbara D’Urso a Domenica live. Un’opinione come un altra se non fosse per l’esempio citato, le case popolari: “Ci sono palazzi dove il 40 per cento degli appartamenti è occupato”. Non è questa, però, l’unica situazione di illegalità che si riscontra nella gestione degli alloggi riservati ai cittadini più bisognosi. Proprio nella lista di Fratelli d’Italia, che sostiene Parisi, compare Marco Osnato, condannato in primo grado a sei mesi di reclusione per turbata libertà del procedimento di scelta del contraente. Proprio in qualità di direttore dell’area gestionale di Aler, l’ente regionale che si occupa di edilizia residenziale pubblica. Secondo l’accusa, rappresentata dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli, Osnato ha imposto a cinque service manager – professionisti che l’azienda pubblica aveva incaricato di gestire alcuni servizi – di frazionare le gare per le pulizie e la gestione del verde condominiale in modo che restassero sotto la soglia di 193mila euro (per i servizi) e 200mila euro (per i lavori), oltre i quali la legge prevede una gara d’appalto. Tutti i disciplinari d’incarico portano la firma dello stesso Osnato.
Già assessore a Trezzano sul Naviglio, in consiglio comunale a Milano dal 2006 con Allenaza nazionale e poi con il Pdl, genero di Romano La Russa (fratello dell’ex ministro Ignazio), l’attuale candidato del partito di Giorgia Meloni ha ammesso di aver impartito quelle direttive. Al processo, come si legge nelle motivazioni della sentenza firmata dal giudice Mariarosa Busacca, Osnato ha affermato di “essere convinto della liceità delle decisioni assunte”. Ma, nota il giudice, mentre gli amministratori di condominio promossi sul campo “service manager” potevano invocare l’ignoranza delle norme sugli appalti pubblici, lo stesso non si poteva accettare per Osnato, non solo per la sua “qualifica ed esperienza professionale”, ma anche perché “era stato espressamente allertato in relazione a un rischio di violazione di legge, connessa al frazionamento di contratti, dal parere dell’ufficio legale” dell’azienda. Dall’inchiesta è emerso inoltre che con il nuovo meccanismo dei service manager – un progetto coordinato da Osnato che intendeva responsabilizzare gli inquilini nella gestione dei condomini – i costi sostenuti da Aler per pulizie e verde sono aumentati di circa il 30 per cento in un anno, cioè un milione tondo tondo: dai 2.470.256 euro del 2009 ai 3.431.786 del 2010. A processo, diversi imputati lo hanno giustificato con un aumento della qualità dei servizi.
Non basta. Uno del service manager coinvolti, Luca Reale Ruffino, ha finanziato la campagna elettorale dello stesso Osnato nel 2011 (con stampa di manifesti e santini a proprie spese per 2.500 euro), oltre a quelle di Romano La Russa (regionali del 2010 e provinciali di Vercelli del 2011) e di un terzo politico di centrodestra, Gianfranco Baldassarre. Ruffino, ex segretario cittadino dell’Udc, è stato condannato in primo grado a cinque mesi per violazione della legge sul finanziamento ai partiti, perché il contributo non era stato deliberata dalla società Constructa dello stesso Reale Ruffino, che poi aveva saldato al fattura allo stampatore. La Russa è sttao assolto in abbreviato, Osnato e Baldassare prosciolti perché “non risulta provata la consapevolezza da parte degli stessi che il contributo fornito da Reale Ruffini alla loro campagna elettorale non fosse a titolo personale”. “Lui mi disse che se ne occupava personalmente”, ha spiegato Osnato al processo, “e le mie incombenze come candidato non prevedevano una rendicontazione o una raccolta di documentazione”.
Aler, per di più, è un ente controllato dalla Regione Lombardia, saldamente in mano del centrodestra berlusconian-leghista da almeno un paio di decenni. Nel 2013 emerse “uno stato di sofferenza finanziaria quantificato, da oggi al 31 dicembre 2013, in 80,5 milioni di euro“, come annunciò il presidente leghista Roberto Maroni al termine di lavori di una apposita commissione. In quel quadro la giunta Pisapia decise di riprendersi gli alloggi di propria competenza e di affidarli, dal primo dicembre 2014, alla controllata Mm. Un anno e mezzo fa, insomma. E chi decide le nomine degli amministratori di Aler? Lo spiega un’illuminante conversazione tra Mario Mantovani – ex vicepresidente della Regione da poco uscito dai domiciliari e in attesa di processo per corruzione e altri reati – e Silvio Berlusconi. In una telefonata del 22 dicembre 2013, quindi successiva all’ufficializzazione del buco da 80 milioni, il primo cerca di catturare l’attenzione del leader di Forza Italia spiegando che si tratta delle “nomine più importanti dell’anno”. Non specifica se l’importanza sia legata all’alta missione sociale dell’ente o ad altro. Segue puntigliosa assegnazione delle poltrone a vari fedelissimi, a cominciare dal presidente, l’ex prefetto di Milano Gian Valerio Lombardi. Se Parisi sarà eletto e vorrà riportare legalità nel settore, avrà un bel da fare.