La notizia non è di quelle che smuovono gli animi e creano stupore cambiando le sorti del mondo, ma dello studio condotto dalla University of Pennsylvania di Philadelphia ne stanno parlando in tanti in giro per il mondo. Gli esperti ci dicono che si può tracciare un profilo della personalità in base alle foto sui nostri profili nei Social Network. Ma va? Un po’ come dedurre anni fa che uno vestito di nero con unghie e rossetto scuri fosse fan dei Cure o che una ragazza vestita di rosso sfoderasse una forte autostima. I ricercatori universitari sono voci più autorevoli dei semplici people watchers e grazie alla loro ricerca su 66.000 utenti Twitter sono state definite cinque personalità tipo basate sulle foto dei profili. Ci sono: l’estroverso, quello aperto a nuove esperienze, l’autodisciplinato, l’allegro e il nevrotico. Se siete timidi, particolarmente intelligenti, rabbiosi per natura o lussuriosi pescate a sorte la vostra categoria perché di voi non si fa menzione nella ricerca…
Ieri sera, dopo il lavoro, ho messo i bambini davanti ai cartoni, mi sono preparata uno Spritz (senza postare la foto altrimenti mi avrebbero messo nella categoria degli etilisti) e ho verificato se i profili dei miei amici corrispondessero ai risultati dell’analisi. Il nevrotico, che “sostituisce se stesso con un oggetto” e l’allegro, ritratto in “pose ludiche con foto colorate”, coincidevano con i dati della ricerca. Gli altri tre tipi di personalità no. Ad esempio, i miei due amici estroversi hanno profili senza foto, quelli coscienziosi non postano immagini dove “appaiono più vecchi” e l’amica che più di tutte ha fatto esperienze di varia natura non si pone “in modo stravagante”. Che le foto dei miei amici trovino o meno conferma nei dati della ricerca è irrilevante poiché è sempre più frequente che il mondo esterno, e le aziende in particolare, controllino chi siamo per valutare il nostro profilo anche dal punto di vista lavorativo.
Catalogare l’umanità all’interno di comparti stagni ha un sapore vagamente nazista. Nell’ottocento fu molto popolare, per un certo periodo di tempo, una dottrina ormai screditata chiamata ‘frenologia‘ in cui si attribuivano all’individuo specifiche qualità psichiche in base alla morfologia del cranio. Si voleva imputare all’esterno una certa capacità di funzionamento dell’interno. La complessità dell’essere umano, contenitore di intelligenze, sentimenti, talenti diversi e mutevoli, non può essere determinata da una foto inserita al computer. Sarebbe alla stregua di definire l’involucro più importante del contenuto. Suddividere l’uomo in macrocategorie è come buttare dentro una pentola dieci ingredienti di per sé buoni con l’intento di preparare una salsa. Il risultato potrebbe essere commestibile ma l’amalgama coprirebbe le singole proprietà degli elementi. Per farla breve, capire l’animo umano è più difficile che stabilire la taglia di un paio di jeans. Quella stessa misura può andare bene a tante persone, che non per questo risultano uguali fra loro.
Lo studio di cosa ci piace, come ci comportiamo, è anche uno strumento di controllo politico che potrebbe trasformare il nostro ‘privato’ in uno strumento contro di noi. Cosa succederebbe se le aziende cominciassero a catalogarci in base alla musica che ascoltiamo, ai libri che leggiamo, alle manifestazioni a cui partecipiamo?
Tutto questo interesse per l’aspetto personale della nostra vita dovrebbe renderci più attenti su come gestire le informazioni che decidiamo di rendere pubbliche.