Lacrime di campione. Vincenzo Nibali piange al traguardo di una delle sue vittorie più sofferte e più belle. Sofferta, perché dopo la crisi della scorsa settimana in tanti l’avevano dato per finito (e non solo in questo Giro d’Italia). Bella, bellissima perché è un capolavoro di gambe, tattica, coraggio e anche fortuna: il siciliano arriva da solo a braccia alzate a Risoul e ora può addirittura vincere il Giro. Steven Kruijswijk, l’olandese rivelazione e dominatore per tre settimane, si è schiantato qualche chilometro prima sulla neve della discesa del Colle dell’Agnello e ha perso la maglia rosa, passata sulle spalle del colombiano Chaves. Ad una tappa dal termine, tutto può succedere nel Giro 2016.
Alla partenza da Pinerolo – località tanto cara a Fausto Coppi, che qui realizzò una delle sue imprese più celebri – la corsa sembrava praticamente finita. Nibali da corridore d’altri tempi l’ha stravolta, riscritta, riaperta con una delle tappe che entrerà nella storia del Giro degli anni Duemila. Kruijswijk è partito con un vantaggio di 4’43” sul siciliano e di 3 minuti netti sul secondo. All’arrivo si è ritrovato addirittura terzo in classifica. E pensare che sulle prime rampe del terribile Colle dell’Agnello, 2.744 metri d’altitudine, l’olandese era parso ancora il più brillante, inattaccabile. Mentre Nibali aveva accusato il colpo come successo sempre fin qui sulle Alpi. Lì il siciliano ci ha messo il cuore, non ha mollato nel momento di maggior difficoltà. È riuscito a rientrare, prendere ritmo e staccare il rivale nella corsa al podio Valverde, scollinando insieme a Kruijswijk e Chaves. I due apparentemente più forti.
Poi nella picchiata verso Chateau-Queyras il colpo di scena: mentre Nibali disegnava le traiettorie da provetto discesista, la maglia rosa sbagliava una curva e finiva per cappottarsi contro un blocco di ghiaccio e neve. Al russo Zakarin, quinto della generale, è andata anche peggio: frattura della clavicola e ritiro immediato. L’olandese invece è riuscito a ripartire ma non senza conseguenze: braccio sinistro insanguinato, bici malmessa, ematomi ovunque. Il distacco si è dilatato col passare dei chilometri e l’ascesa verso Risoul è diventata un calvario: alla fine è arrivato con un ritardo di quasi 5 minuti. Molto dopo Nibali, che intanto era riuscito anche a staccare Chaves di 53 secondi.
Una rivoluzione. E manca ancora una tappa, quella regina: da Guillestre a Sant’Anna di Vinadio, tre gran premi della montagna e arrivo in quota a 2mila metri. La classifica dice che Nibali, dato per morto fino a ieri (il suo allenatore aveva parlato addirittura di ritiro), può ancora vincere il Giro: deve recuperare 44 secondi a Esteban Chaves, giovane colombiano in ascesa, che è già stato 5° alla Vuelta 2015 a soli 25 anni ma ancora non ha vinto nulla in carriera. La pressione (la stessa che ha paralizzato le gambe dell’esperto azzurro per due settimane) potrebbe fargli brutti scherzi. A Kruijswijk, segnato nel fisico dalla caduta e nel morale dalla disfatta, servirebbe quasi una resurrezione per colmare un gap comunque non eccessivo (1’05”). E occhio anche alla zampata del vecchio Valverde: con una tappa così dura e un distacco di poco inferiore ai 3 minuti, neppure lui è tagliato fuori. Sarà uno dei finali più appassionanti dell’ultimo decennio. Grazie a Nibali, comunque vada.