Qualcuno pensa addirittura che l’idea del Vaticano II sia stata sua. Un falso storico clamoroso perché il piccolo don Loris, davanti a quel progetto faraonico e rivoluzionario del suo san Giovanni XXIII, rimase muto. Lo seppe appena due giorni dopo l’elezione di Angelo Giuseppe Roncalli sul soglio di Pietro, e non lo condivise affatto. Era un anziano patriarca di Venezia, divenuto papa a 77 anni, a confidare al “suo umile contubernale”, come ha amato definirsi fino alla fine, anche da cardinale, anche a 100 anni, l’idea di un Concilio Ecumenico che avrebbe cambiato radicalmente il volto della Chiesa facendola entrare davvero e finalmente in dialogo con la modernità. “Cosa chiedeva il mondo a Papa Giovanni?”, si domandava don Loris in quei giorni tribolati. “Semplicemente di essere padre. E il mondo gli sarebbe stato grato ugualmente per la sua paternità”, spiegò, qualche anno dopo la morte di Roncalli, a Sergio Zavoli in un’intervista che ha segnato contemporaneamente la storia del giornalismo e della Chiesa.
Di quel rinnovamento all’insegna della continuità, il più autorevole testimone è stato proprio lui, don Loris Francesco Capovilla, poi vescovo (prima a Chieti-Vasto e dopo a Loreto) e infine, sulla soglia del secolo di vita, cardinale per volere di Bergoglio. Una nomina che lo sorprese e lo commosse nella sua infinita umiltà. “Ho ascoltato in televisione – raccontò a ilfattoquotidiano.it – l’annuncio di Papa Francesco con il mio nome nella lista dei suoi primi cardinali. Ho pensato immediatamente ai miei fratelli e sorelle di tutto il mondo, non solo cristiani ma anche di tutte le altre religioni, che hanno speso tutta la loro vita al servizio del prossimo. Arrossisco pensando a questa decisione del Papa di crearmi cardinale, che sento immeritata e soprattutto inattesa. Come potrei darmi delle arie e credermi una persona importante dopo aver avuto un grande pastore e maestro di vita come Papa Giovanni?”.
Cosa direbbe oggi Roncalli vedendo il suo don Loris cardinale? Capovilla si commosse: “Non ho il coraggio di dire cosa direbbe. Non voleva bene al suo segretarietto ma a tutto il mondo, a tutti gli uomini”. In quell’occasione Capovilla precisò, inoltre, di non aver sentito Bergoglio a telefono dopo l’annuncio della sua porpora. “Tutti noi nuovi cardinali – spiegò il presule – abbiamo ricevuto la sua lettera umile e delicata nella quale ha scritto che il cardinalato non è un’onorificenza. Non si tratta di promozioni e premi, altrimenti sarei stato superato dalle centinaia di migliaia di persone che mi precedono”. Il neo cardinale si soffermò anche sulle parole che Eugenio Scalfari aveva scritto su Papa Francesco: “Scalfari ha scritto che la carità di Bergoglio ha reso Roma capitale del mondo, ma non da un punto di vista economico, politico e militare. Spero che abbia voluto dire che l’ha resa una potenza morale”.
E pensando all’imminente canonizzazione del suo Giovanni XXIII, insieme a quella di Giovanni Paolo II, aggiunse: “Verrò a Roma se sarò ancora vivo”. Una promessa che poi non riuscì a mantenere per colpa delle gambe, che negli ultimi anni non lo aiutavano più a camminare. Lucidissimo fino alla fine, con una memoria di ferro impressionante e un’umiltà che conquistava subito l’interlocutore. Lui testimone della storia, di una storia che passava da John Fitzgerald Kennedy a Nikita Krusciov, è rimasto in punta di piedi fino alla fine. Negli occhi sempre lo sguardo e il sorriso del suo Papa Giovanni che, dopo aver servito 10 anni in vita come segretario, ha continuato a servire per oltre mezzo secolo dopo la sua morte raccontando la grandezza dei suoi 5 anni di pontificato.
Bergoglio ha voluto salutare l’ultima volta a telefono il cardinale Capovilla il 15 maggio scorso. “Penso con affetto – ha scritto il Papa in un telegramma inviato al vescovo di Bergamo, monsignor Francesco Beschi – a questo caro fratello che nella sua lunga e feconda esistenza ha testimoniato con gioia il Vangelo e servito docilmente la Chiesa, dapprima nella diocesi di Venezia, poi con premuroso affetto accanto al Papa san Giovanni XXIII, della cui memoria fu zelante custode e valido interprete. Nel suo ministero episcopale, specialmente a Chieti-Vasto e a Loreto, fu sempre pastore totalmente dedito al bene dei sacerdoti e dei fedeli tutti, nel segno di una solida fedeltà alla bussola del Concilio Vaticano II”. Una bussola che oggi orienta la Chiesa di Bergoglio.