Nell'aula del Tribunale di Bergamo l'avvocato Salvagni si rivolge ai giudici dicendo che sull'omicidio della 13enne "non c'è nessuna certezza": "Questo processo ha parlato di tutto, ma non di cosa è davvero successo. Vicenda è una tortura per l'imputato". Marita Comi arrivata a bordo di una Porsche
Al processo sul delitto di Yara Gambirasio è il giorno della difesa di Massimo Bossetti, unico imputato per l’omicidio della 13enne di Brembate di Sopra. Va “alla vittima” di un “delitto efferato, terribile” e alla sua famiglia il primo pensiero dei difensori del muratore di Mapello. È questa la “necessaria premessa” dell’avvocato Claudio Salvagni che oggi, insieme al collega Paolo Camporini, cercherà di evitare la condanna all’ergastolo chiesta dal pm Letizia Ruggeri per il presunto killer. “Prima ancora che da avvocati, ci siamo convinti da padri che la persona che andavamo a difendere non è un assassino”, ha detto il legale. Salvagni ha parlato di “delitto che ha iniettato veleno nei muscoli di Bergamo” e che “ci ha tutti sconvolti”.
Subito dopo questa premessa, l’avvocato Salvagni entra nel vivo del dibattimento toccando uno dei nodi cruciali delle indagini, quello che secondo l’accusa è la “prova regina” che inchioda Bossetti: il Dna. Il difensore sottolinea che, riguardo gli accertamenti, “sul lavoro fatto da altri non può esserci chiesto un atto di fede“. “Non avete giurato su un libro di biologia ma sulla Costituzione“, dice ai giudici Salvagni, invitandoli a essere rigorosi nella valutazione della prova. Il muratore è presente nell’aula del Tribunale di Bergamo in cui c’è anche la moglie. Marita Comi è arrivata in tribunale a bordo di una Porsche Panamera, color rame, e con targa del Principato di Monaco guidata da un’altra persona. Mentre non è presente la madre, Ester Arzuffi, per via di un’indisposizione, come spiegato dal suo avvocato, Benedetto Maria Bonomo.
E’ proprio sul Dna che si gioca il destino giudiziario di Bossetti ed è su questo elemento che la difesa sferra i suoi primi colpi durante l’arringa. E’ la traccia biologica trovata sugli indumenti della vittima – una traccia mista del Dna della 13enne di Brembate e di ‘Ignoto 1‘ identificato come l’imputato – la prova che ha permesso di arrivare all’arresto del muratore. Un elemento su cui c’è un’incongruenza: il Dna mitocondriale (identifica la linea di ascendenza materna) non corrisponde a quello dell’imputato. Un’anomalia riconosciuta dall’accusa, che a suo dire “non inficia” il resto: il Dna nucleare è di Bossetti e solo quello ha un valore forense. “Il Dna è sicuramente un elemento del quadro accusatorio importantissimo, ma proprio per questo – spiega il difensore Salvagni – la fotografia che restituisce deve essere nitida”. Se questa traccia biologica “è l’architrave, la pistola fumante, la prova regina” contro Bossetti, il legale ricorda che “la difesa non ha mai potuto interloquire” su questo elemento, visto che in quel momento Bossetti non era indagato. “C’è il Dna, cosa vuol dire? Che non facciamo il processo? E un dato che va letto, studiato, deve essere perfetto“. Per il legale di piste alternative “ce ne sono mille” e “la nostra coscienza non può accettare il rischio che in carcere ci sia un innocente“.
Per la difesa di Bossetti, poi, ci sono ancora molti buchi neri in quel delitto. Per Salvagni “non c’è certezza di niente“. Né sugli orari della morte. Né con che armi sia stata uccisa. Né di quanto accaduto il 26 novembre 2010, giorno della scomparsa della 13enne di Brembate, ritrovata il 26 febbraio del 2011 in un campo di Chignolo d’Isola. “Questo processo ha parlato di tutto”, per la difesa, “ma non di cosa è davvero successo” ed è servito “a far male a una persona: non ho paura di dire che è una tortura per Bossetti”, ha detto il legale.
Per i difensori il dibattimento è “ricco di suggestioni, è un processo mediatico”, che inevitabilmente condiziona anche i giurati. L’avvocato Salvagni mette l’accento su alcune “perle” del processo in corso da quasi un anno: dalle immagini dei furgoni che riprenderebbe il mezzo dell’imputato – “video confezionati come un pacchetto dono per tranquillizzare la gente per avere il mostro, il pedofilo, il mentitore seriale. Mi viene la nausea a pensare a questi video”- alle lettere alla detenuta Gina – “un incredibile colpo basso, che fa male all’uomo e non c’entra nulla col processo ” – alla ricerca di amanti nella vita dell’imputato – “Dove sono le amanti di quest’uomo che non riesce a resistere agli impulsi sessuali?”. “Basta suggestioni, colpi bassi. Dovete decidere la cosa più difficile del mondo e non avete bisogno di suggestioni”.
Poi un attacco alla “stampa appiattita” sulla tesi della procura. Il legale parla di “atto gravissimo” in riferimento alla deposizione di un ufficiale del Ros che aveva raccontato di aver visto che Yara, quando ne fu trovato il corpo, stringeva in pugno dell’”erba radicata“. “E’ un falso: non è possibile trasferire alla corte qualcosa come indiscutibile quando invece non era vero”.