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Giorgio Albertazzi: “Scelsi la parte dei perdenti, la Rsi. Piazzale Loreto? Fu macelleria messicana”

Nell'intervista al Fatto del 2015, l'attore parla della sua adesione alla Repubblica di Salò. "La fama di fascista non me la sono mai scrollata di dosso. Andai come tanti ragazzi, convinto che lì si combattesse per l’Italia, ma con altro spirito". E aggiunge: "Misi in salvo 19 ebrei"

di Emiliano Liuzzi

Riduttivo chiamarlo col suo nome e cognome, Giorgio Albertazzi, con tutto quello che comporta essere nati a Fiesole, sulle colline del Rinascimento. Meglio maestro, perché è quello che è sempre stato. E a 93 anni è più lucido di sempre, uno dei più grandi intellettuali che l’Italia ha avuto, anche se l’adesione alla Repubblica sociale certi ambienti della sinistra non gliel’ha mai perdonata. “Neanche io, se è per questo, me la sono mai perdonata. Ma scelsi la parte dei perdenti, quella della Rsi, e lo feci più che per un istinto anarchico che non per convinzione. Fu un mio dramma personale, ma senza rinnegarlo o cercare scorciatoie. Poi a me il pentitismo non piace”.

Lui non l’ha mai ammesso, ma gli viene imputato di aver partecipato a fucilazioni, anche se nel 1989 venne assolto perché “costretto, ma non estraneo ai fatti”. Attore, regista, scrittore. Grande seduttore. È tutto Albertazzi. Seduce solo a sentirlo parlare, anche attraverso quella distanza che un telefono non può colmare. Seduce perché l’uomo è vero, senza fronzoli. Non ne ha tempo. È il teatro che, a differenza del cinema, fronzoli non ne permette. Seduce la voce, seduce tutte le sere che si apre il sipario. E l’età è un problema accessorio, per chi come lui sul palcoscenico è nato. Lo chiamiamo per sapere di piazzale Loreto. Del luogo come epilogo di una guerra civile che andava a finire un ventennio di fascismo. Albertazzi non era a piazzale Loreto, ma aderì alla Rsi, gli ultimi fascisti. Come lui Dario Fo, ma anche Ugo Tognazzi, Raimondo Vianello, Marco Ferreri e molti altri.

Maestro, per lei cosa fu piazzale Loreto? Era l’epilogo naturale di una rivoluzione?
Piazzale Loreto fu solo macelleria messicana. Niente altro. Fu uno schifo, per chi l’ha voluto e chi l’ha portato a termine quel disegno. Ma non poteva essere evitato, non nel senso politico del termine, ma perché l’uomo è quella cosa lì.

Un animale?
Il peggiore degli animali. E quello che accadde a piazzale Loreto mi ripugna, mi angoscia e mi fa rabbrividire ancora il ricordo. Peserà come una macchia indelebile. E tutti gli altri piazzali Loreto che abbiamo dimenticato e che ci sono ancora oggi, in mondo apparentemente lontani come la Siria, la Libia, l’Iraq.

Lei aderì alla Repubblica sociale. Ma era a piazzale Loreto la notte che venne portato il cadavere di Mussolini?
Non ero in Italia. Io ero a combattere. Paradossalmente contro i tedeschi che erano i nostri alleati. Ma nella confusione di quei giorni ci trovammo a sparare ai tedeschi, in Austria, tra le montagne innevate. Senza più niente.

E cosa dice a quelli che a Milano c’erano alle 3 di notte?
Dovevano portare il peso della vergogna per quello che fecero, come lo fecero. Come io ho portato la vergogna di essermi schierato coi fascisti.

Abbiamo capito il concetto. Ma l’uomo è migliorato o è sempre quello?
Siamo all’età del ferro. Siamo regrediti, peggiorati. L’uomo è barbaro. Ha ucciso nel nome di Dio, e continua a farlo. Quale aberrazione è ? Ma non credo ci sia profonda differenza tra le crociate dei cristiani e quelli che ammazzano nel nome di Allah. Tutte le guerre hanno sempre trovato una miccia religiosa. La pretesa di sostenere che il mio Dio è migliore del tuo.

Le sue parole, maestro, sono quelle di chi ha perso la speranza.
No, io non ho perso nessuna speranza, sono sempre convinto che l’amore e la leggerezza ci salveranno, alla fine. Quando la discesa al degrado un giorno si fermerà. Perché dovrà fermarsi. Purtroppo abbiamo vissuto in tempi irrespirabili. Ma la bontà dell’amore quella non può togliercela nessuno, è come l’equazione di Einstein applicata alla leggerezza.

Lei è un uomo di destra?
Non lo sono stato a vent’anni, figuriamoci se posso esserlo oggi.

Però aderì alla Repubblica di Salò, la domanda è lecita.
La fama di fascista non me la sono mai scrollata di dosso. Andai a Salò come tanti ragazzi, convinto che lì si combattesse per l’Italia, ma con altro spirito, e soprattutto consapevole che in quel momento stavo dalla parte di chi già aveva perso. Come dissi in un’intervista all’Espresso nella sentenza del Tribunale militare che mi ha assolto in istruttoria dopo due anni di carcere preventivo, c’è scritto che ho messo in salvo 19 ebrei. Ma non l’ho mai raccontata questa cosa. Non mi andava. le mie responsabilità, seppur di ventenne, me le prendo tutte. Senza vittimismo o pentitismo. Ma ripeto che quello che avvenne a piazzale Loreto fu un teatro dell’orrore, inutile, anche per l’epilogo della rivoluzione civile.

Oggi cosa vede?
Vedo quello che non vorrei, la violenza che come diceva Shakespeare, manda l’uomo fuori dai cardini. Gli toglie l’intelligenza, il ragionamento. È tutto molto violento, la vita quotidiana è violenta. Lo siamo noi, uomini, e tutto quello che poi creiamo, a eccezione della poesia, è di una violenza inaudita.

L’ultima battaglia politica è quella contro i rom.
Questo siamo. Inaudito, per questo le dicevo in apertura che siamo all’età del ferro senza nessuna possibilità di svoltare. Fare tesoro degli errori senza farsi il segno della croce e così sia.

E la salvezza dove va cercata?
Nella leggerezza, nel sorriso, come diceva Calvino.

E il maestro Albertazzi la salvezza dove l’ha trovata?
Nella poesia. Invocherei la morte se non ci fosse la poesia, l’amore. Il teatro.

Da Il Fatto Quotidiano del 20 aprile 2015

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