Nella lista dei grandi compositori italiani dimenticati dalla storia, e spesse volte bistrattati dagli stessi storici di settore, il nome di Giovanni Sgambati occupa un posto di rilievo. Una produzione, quella del grande pianista nato a Roma nel 1841, per nulla inferiore, per quantità e qualità, ai coevi e ben più noti colleghi europei, con una particolare preponderanza nel repertorio pianistico. Allievo fin dal 1862 di Franz Liszt, tramite il quale conobbe Richard Wagner e dal quale non si limitò ad apprendere la sola tecnica pianistica ma anche una precisa filosofia ed estetica musicali, di lui il grande compositore ungherese, in luogo della prima esecuzione assoluta della sua Dante-Symphonie (la cui direzione aveva affidato all’allievo italiano), dirà: “Sgambati comincia da dove molti non finiscono”.
Punto di approdo di un’intensa e appassionata opera di revisione, condotta negli anni da diversi musicologi, è il progetto “Giovanni Sgambati: la bellezza dimenticata” del direttore d’orchestra e compositore Roberto Fiore; un vero e proprio lavoro di recupero, revisione, studio e pubblicazione, ma soprattutto esecuzione, della musica di Sgambati. Due sono i brani che, ricercando nel fondo bibliografico del compositore nella Biblioteca Casanatense, il maestro Fiore ha personalmente avuto modo di ricostruire: il Cantabile, giunto fino a noi solo grazie alla trascrizione manoscritta per violino e pianoforte, e il Nonetto per Archi. Un’opera di recupero avvenuta anche grazie al supporto del Maestro Umberto Oliveti, responsabile e violinista della Nuova Cameristica di Milano, e alla Casa Musicale Sonzogno, che ha voluto pubblicare i due lavori così revisionati.
Uno scavo che oggi trova la sua giusta collocazione in concerti di primissimo piano, come quello che ha avuto luogo venerdì 27 e che tornerà domenica 29 maggio all‘Auditorium Verdi di Milano. L’Orchestra Verdi, che in luogo del centenario della morte di Sgambati (2014) ne aveva presentato, insieme alla pianista Martina Filjak, il Concerto per pianoforte e orchestra op. 15, diretta per l’occasione da Gaetano d’Espinosa, ha voluto proporre, in prima assoluta italiana, il Cantabile revisionato da Roberto Fiore, affiancandolo alla mastodontica Sinfonia n.4 in Mi minore di Johannes Brahms. Lavoro difficile quello di Fiore, obbligato in qualche modo a ipotizzare il tipo di orchestrazione che stava dietro alla versione del Cantabile per orchestra: “È molto interessante – dichiara Fiore – , ascoltando alcuni brani ‘cantabili’ di Sgambati, carpire come la sua idea di cantabilità sia strettamente legata alla famiglia degli archi: “vedi, ad esempio, la serenata, quarto movimento, della splendida prima sinfonia”.
Un lavoro impossibile se non adeguatamente sorretto e motivato da grande passione: “Il mio interesse – afferma sempre Fiore – è stato fin da subito per un recupero attivo e non solo intellettuale. Ho presentato il progetto con in testa il Nonetto per Archi alla Casa Musicale Sonzogno, che ha accettato con grande entusiasmo, e con molta fatica stiamo riuscendo a far sì che il Nonetto per Archi e ora anche il Cantabile siano eseguiti”. In questo modo un autore ricordato quasi solo dagli addetti ai lavori torna oggi, anche se ancora timidamente, sulla scena, recuperando un pizzico della centralità che lo stesso ebbe vita natural durante: non vi era compositore o musicista che, passando per Roma, non facesse visita a Giovanni Sgambati nella sua casa di Piazza Navona; non vi era grande personaggio musicale in Europa che non lo conoscesse, legato com’era da rapporti di amicizia con diversi tra i più importanti compositori del tempo: oltre a Wagner e Liszt, vanno assolutamente ricordati infatti Grieg, Čajkovskij, Brahms, Massenet, Elgar e Busoni. Insomma, nel bicentenario paisielliano, a duecento anni dalla morte di un altro autore messo ingiustamente da parte dalla storia della musica di derivazione germanica, anche Sgambati merita oggi un posto più che considerevole nelle sale dei nostri auditorium.