Torino, Milano, Bologna, Roma, Napoli e le altre. Ognuno crede che la sua campagna elettorale sia meno partecipata e più addormentata delle precedenti per motivi specifici della città, ma non credo sia così. La minor partecipazione è generalizzata. Anche se le poste in gioco sono alte. C’è una posta in gioco più difficile da leggere ma più importante, ed è quella delle capacità di autogoverno delle città, che siano capaci di procedere e trasformarsi e/o preservarsi in modo sostenibile socialmente e ambientalmente. E ci sono singole poste in gioco più “politiche”, come la possibilità di una prima amministrazione 5 stelle a Roma e Torino e la possibile rivincita della destra a Milano. E ancora, al primo turno, le possibilità di una sinistra “nè populista nè democristiana” che in vari modi tenta di accedere ai consigli comunali. Tutto ciò sembra smuovere ben poco, forse saranno più battagliati i ballottaggi. (A proposito, al primo turno è quasi inutile votare per i sindaci, molto più utile concentrarsi a scegliere lista e consiglieri e ricordarsi di indicarli perché è al primo turno che li si determina).
E’ molto probabile che questa scarsa partecipazione si tradurrà in bassa partecipazione al voto. Quanto bassa? Teniamo conto che noi veniamo da una tradizione tra le più alte del mondo, e comunque da tempo in calo. Alle comunali del 2011 a Milano (una battagliona) partecipò il 67%. Alle ultme elezioni a Parigi il 58%, a Londra il 45%. Solo Barcellona recentemente ha fatto meglio, col 72%. (Se qualcuno più esperto ha dati diversi mi rettifichi). Quali sono i motivi dello “svacco” che si continua a cogliere a una settimana dal voto? Sicuramente Renzi ci ha messo del suo ed è riuscito a condizionare il “circo politico mediatico” indirizzandolo a guardare, già da adesso, più al referendum costituzionale che alle comunali. La cosa mi pare particolarmente brutta perché le modifiche costituzionali – come la stessa campagna del Sì – sembrano convergere su un centralismo nazionalistico statale che dovrebbe essere superato. Per dirla in sintesi, avremmo bisogno di meno Palazzo Chigi, di più Europa, di più Regioni, di più peso al locale e all’internazionale.