Qualche voce emerge dalla stampa sul profilo dei palinsesti autunnali della Rai: meno talk show e diversi, Vespa sempre lì, ma c’è il contratto che deve scadere, meno edizioni di TG anche se il numero delle Testate sembra che per ora resti invariato (sembra). E così via, tagliando e cucendo. Parlandone a fiuto, perché non abbiamo ovviamente alcun documento tra le mani, diremmo che in questa fase la Rai cerca di accumulare forza. Infatti, fra la fiction di Rai Uno e l’estensione di Fazio su Rai Tre (dove condurrà il Rischiatutto), la proposta nazional-popolare si estenderebbe come non mai su due canali e giocherebbe su diversi linguaggi. Quindi, potrebbe risultare estesa e pagante sul piano degli ascolti. In altri termini, sembrerebbe che, in attesa che Governo e Parlamento completino i loro percorsi normativi fissando le due cifre magiche da cui tutto dipende, ovvero gli introiti da canone e gli spazi pubblicitari (ci si dovrebbe arrivare, referendum permettendo, in autunno) la Rai sembrerebbe voler in primo luogo mettere al sicuro i bilanci accentuando la propria competitività sul mercato degli ascolti (che non vuol dire affatto fare programmi più banali, anzi, ma che certo non si presta a sperimentare col rischio di possibili flop).

Mossa prudente, forse anche astuta, perché in questo modo le tv commerciali, quando verrà il momento, saranno ben liete di appoggiare una riforma che allenti la pressione competitiva della Rai compensandola con l’aumentato gettito (grazie a santa bolletta) della risorsa pubblica. Dopodiché, strategie di sistema a parte, restiamo con la nostra impazienza di vedere quanto si riuscirà comunque a combinare sul fronte, quello davvero decisivo in ultima istanza, del rivoltare come un calzino la intera organizzazione della Rai (a partire dalle Testate Nazionali e, particolarmente, da quella regionale). Perché i paracadutisti possono essere indispensabili, ma poi bisogna organizzare il territorio, altrimenti ci si sprofonda.

PS: perché non si può non farvi cenno. L’abito fa il monaco? Secondo Daria Bignardi, direttore di Rai Tre, la risposta è sì, da cui le indicazioni di sobrietà rivolte a tutta la compagnia dei conduttori e delle conduttrici. E così ci troviamo, con nostra sorpresa, a darle ragione, noi che ammirammo la conduzione del primo Grande Fratello e ci annoiammo in seguito alle conversazioni di mondo svolte nel pieno delle Invasioni Barbariche. E sempre noi che non le abbiamo mai perdonato di avere stroncato la carriera di Mario Monti mettendolo al muro col cagnolino in grembo, l’equivalente del più antico risotto che Vespa commissionò a Velardi e D’Alema. Ma stavolta di ragione ne ha a bizzeffe perché lo sanno anche i sassi che le vesti e il trucco sono la prima cosa che “diciamo” a chi ci osserva e ascolta e che se il Servizio Pubblico vuole riprendersi nella mente degli spettatori lo spazio fin qui lasciato all’uso “privatizzato” del palinsesto da parte di persone, gruppi, gruppazzi e agenti che li monopolizzano, una delle poche cose che fin d’ora può concretamente fare è, per l’appunto, di darsi uno stile. Uno.

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