Centoventi lettere che annunciano il probabile licenziamento a partire dal prossimo 31 agosto, e pazienza se a riceverle siano i dipendenti di un’azienda che lo Stato ha confiscato a Cosa nostra. L’ultima grande batosta per il mondo dell’antimafia arriva da Bagheria, la città delle ville a est di Palermo, un tempo residenza prediletta del boss Bernardo Provenzano. È qui, infatti, che sono pronte a chiudere i battenti la Ati group, la Edilmar e la Italtecna, e cioè le società che un tempo rappresentavano il ramo edile dell’impero di Michele Aiello, il ricchissimo ingegnere condannato a 15 anni di carcere per associazione mafiosa, specializzato nella gestione di cliniche di lusso, prima tra tutte la Santa Teresa.
Ed è proprio davanti alla casa di cura di Bagheria che stamattina i 120 operai dell’ex gruppo Aiello si sono dati appuntamento per protestare. Il motivo? Contrariamente alla clinica Santa Teresa, che dopo la confisca è tornata a lavorare a pieno ritmo, il ramo edile dell’impero Aiello è infatti in pieno default. Sequestrate il 20 marzo del 2004, gestite dal 2013 dall’Agenzia per i beni confiscati, le tre società sono ormai in profondo rosso: e adesso sono arrivate le lettere che annunciano la messa in mobilità per i lavoratori. Entro 75 giorni, quindi, partiranno le procedure per il licenziamento: una misura drastica che, secondo l’amministratore giudiziario Andrea Dara, è dovuta alla crisi del settore edile.
Di avviso diverso è, invece, Francesco Piastra, segretario della Fillea Cgil di Palermo. “La Ati group – dice il sindacalista – è decotta per un semplice motivo: dal 2013 non partecipa ad alcuna gara d’appalto. Aveva solo dei lavori marginali di manutenzione, ma prima di procedere ai licenziamenti bisognerebbe battere tutte le strade per garantire i livelli occupazionali”. Una soluzione per tenere in piedi le aziende, infatti, era stata trovata, almeno in teoria. “Avevano detto ai dipendenti di creare una cooperativa per affittare il ramo d’azienda e rilevare l’attività: i lavoratori hanno manifestato interesse, ma attendiamo ancora che l’Agenzia dei beni confiscati e l’amministratore giudiziario si pronuncino. Abbiamo chiesto un incontro urgente, ma nel frattempo arrivano le lettere di mobilità”. E dire che sotto la gestione Aiello, specializzato nella costruzione di strade interpoderali, le tre aziende edili producevano bilanci a sei zeri: un successo evidentemente “drogato”, dato che l’ingegnere di Bagheria era il prestanome di Provenzano. Considerato per anni tra i principali contribuenti della Sicilia, ribattezzato “Re Mida” per la sua capacità di tramutare in oro qualsiasi affare in cui si cimentasse, Aiello era vicinissimo a Salvatore Cuffaro: e infatti finisce coinvolto nella stessa inchiesta che poi porterà alla condanna definitiva dell’ex governatore della Sicilia.
Le indagini della procura di Palermo documentano, tra l’altro, che il prestanome di Provenzano e Cuffaro s’incontravano nel retrobottega di un negozio di vestiti per contrattare l’entità dei rimborsi che la Regione Siciliana avrebbe accordato alla clinica Santa Teresa. Dopo il sequestro, si scoprirà che per le prestazioni della sua clinica Aiello riusciva ad ottenere tariffe gonfiate anche fino al 400 percento. Ma se dopo la confisca gli affari della clinica sono tornati a fiorire, nonostante i rimborsi accordati dalla Regione siano stati portati ai normali livelli previsti per le altre strutture accreditate, così non è stato per le società edili dell’ex gruppo Aiello: il risultato è che adesso centoventi famiglie sembrano destinate a rimanere senza alcuna entrata economica nel giro di meno di meno di tre mesi. “In pratica – spiega sempre il sindacalista Piastra – si dà un segnale devastante in una zona come quella di Bagheria non certo florida di opportunità lavorative”. Il rischio qual è ? “Che si lanci un messaggio vecchio ma purtroppo sempre attuale: con la mafia si lavora, con lo Stato no”. Non certo il massimo in una terra come la Sicilia, che ancora oggi di segnali vive e si alimenta.