E’ la Biennale del cambio di rotta e della strada da percorrere, “che risponde in modo semplice a domande complesse”, che non parla solo agli architetti ma a tutti, quella curata da Alejandro Aravena e presentata a Venezia lo scorso 26 e 27 maggio; soddisfa le aspettative di quanti avevano prefigurato in questa edizione una significativa discontinuità nel panorama uniforme e scarsamente rilevante delle Biennali degli ultimi anni e segna, finalmente, la fine del tripudio celebrativo delle “archistar” e dell’architettura autoreferenziale, spettacolare e un po’ cafona.
“Reporting from the front” è con questo titolo che la Biennale ha invitato a condividere crisi e esperienze che l’architettura ha vissuto negli ultimi anni, monitorando e indagando il rapporto tra architettura e società civile, riportando l’attenzione sul progetto e sul ruolo sociale dell’architetto, obbligando l’architettura a dare risposte concrete alle reali emergenze dei Paesi.
Gli esiti di questo invito – dopo la dimenticabile, astratta e autoriale precedente Biennale curata da Rem Koolhas – mostrano opere che, per caratteri etici, estetici, spaziali, sono rappresentative, oggi, del rapporto dell’uomo con il proprio tempo, il progetto come testimonianza documentale della vita declinata in tutte le sue condizioni, dalle periferie urbane ai centri di accoglienza per immigrati. Contrariamente alle passate edizioni, in cui il visitatore era chiamato ad un atto di fede davanti ad astratte vetrine e a fugaci passerelle fotografiche, è finalmente possibile vedere progetti chiari e divulgativi su temi cogenti, e in una Biennale, luogo privilegiato di contenuti e approfondimenti, l’architettura deve spiegarsi da sola, senza salti immaginativi e indispensabili note testuali.
Ma questa è anche la Biennale che mostra e dimostra come la scuola Iberoamericana, rappresentativa di un pragmatismo e di una concretezza elegante, abbia vinto su tutta la linea contro l’accademia un po’ cialtrona delle opache velleità concettuali: è cileno il curatore Alejandro Aravena; è spagnolo il padiglione curato da Inaqui Carnicero e Carlos Quintans che ha vinto il Leone d’oro della XV Biennale; è brasiliano Paulo Mendes da Rocha premiato con il Leone d’oro alla carriera “per la sua attenzione alla collettività”; è paraguaiano Solano Benítez, Leone d’oro come miglior progettista.
Sarebbe quasi d’obbligo per l’Accademia Italiana, una urgente riflessione in proposito.