La relazione della commissione Antimafia ha individuato i candidati sotto processo o condannati e che sono in lista per le prossime amministrative. Battipaglia (Salerno) il caso con più nomi "segnalati", va meglio al nord con l'eccezione di Diano Marina (Imperia). A Roma c'è anche Simone Di Stefano, vicepresidente di Casapound che fu condannato per aver portato via la bandiera Ue durante un blitz
Detenzione di armi, detenzione di droga ai fini di spaccio, tentata estorsione, rapina, bancarotta fraudolenta, riciclaggio, sfruttamento della prostituzione, lesioni, abuso d’ufficio. Sembra l’elenco dei capi d’accusa di Tuco, il Brutto del film di Sergio Leone, e invece sono i reati per i quali sono stati condannati o sono a processo alcuni dei candidati alle Comunali del 5 giugno analizzati dalla commissione Antimafia. Un pezzo di “società civile” che si propone di farsi classe dirigente e in molti casi la mafia la sente vicina, tanto vicina da farci Natale insieme in qualche caso: nella relazione della commissione parlamentare c’è una sfilza di parentele di candidati a sindaco o ai consigli comunali con uomini tutti d’un pezzo che vantano curriculum di tutto rispetto dentro le cosche. E pensare che l’Antimafia ha analizzato solo i Comuni che hanno avuto procedure di scioglimento o inchieste in cui è entrata la criminalità organizzata.
I 14 che per vari motivi sono stati definiti impresentabili fanno parte di liste civiche. Chiamale civiche: Rosy Bindi, presidente della commissione, spiega che sono proprio le liste slegate dai partiti a rischiare da fare da traghetto nelle istituzioni. Una si chiama Legalità e libertà e a San Sostene, 1300 abitanti, in provincia di Catanzaro, candida a sindaco Domenico Fera. In lista per il consiglio comunale presenta Alessandro Codispoti che – spiega la relazione della commissione Antimafia – è sotto processo per droga e in appello è stato condannato a 4 anni, con l’interdizione ai pubblici uffici per 5 anni. Ma potrà essere eletto. Toccherà all’assemblea cittadina dovrà subito passare alla procedura per la decadenza. La lista Per la tua città, a Scalea, in provincia di Cosenza punta anche su Carmelo Bagnato, che ha una condanna diventata definitiva a 2 anni per bancarotta fraudolenta.
Un piccolo record ce l’ha Battipaglia, provincia di Salerno, dove le liste civiche sono 18 su 22 e dove i candidati definiti impresentabili sono 7. Alcuni sono incandidabili, alcuni dovranno essere sospesi. Carmine Fasano rappresenta Azione Civica-Tozza sindaco: ha patteggiato un anno di reclusione per cessione illecita di stupefacenti. Daniela Minniti, candidata per Battipaglia Popolare, è stata condannata a 2 anni per bancarotta fraudolenta. Con lo stesso reato Lucio Carrara (che corre con Battipaglia con cuore-Motta sindaco) ha qualche problema: prima una condanna, poi un patteggiamento, pena finale 2 anni. Francesco Procida, che sostiene sempre l’aspirante sindaco Motta con la lista Speranza per Battipaglia, porta in dote la pena di 2 anni e 9 mesi per riciclaggio. Bartolomeo D’Apuzzo è uno dei portabandiera di Battipaglia a testa alta e forse anche mani in alto: nella relazione della commissione Antimafia risulta che ha patteggiato per rapina e è stato condannato definitivamente per cessione di stupefacenti a un anno e 2 mesi. Demetrio Landi, invece, è uno dei Moderati per Battipaglia e i fatti lo dimostrano: è stato condannato per cessione di droga, violazione di domicilio, lesioni dolose, tentata violenza privata. Fin qui gli incandidabili. Poi c’è Giuseppe Del Percio, della lista Battipaglia-La città che verrà, che è stato condannato in primo grado per violazione delle norme sulla droga a 10 mesi e ora ha fatto appello: in ogni caso, se eletto, dovrà essere sospeso per la legge Severino. Incredibile, ma non finisce qui. C’è per esempio un pubblico ufficiale, non meglio precisato, che in primo grado era stato condannato in primo grado per abuso d’ufficio e rivelazione di segreto d’ufficio: la sentenza è stata confermata dalla Cassazione, ma il reato è prescritto.
Ma c’entra anche Roma, che d’altra parte si ritrova a votare un nuovo sindaco anche per gli scossoni di Mafia Capitale. Qui l’unico impresentabile che vuole sedere in consiglio comunale – Mattia Marchetti – si candida con una lista folkloristica, più che civica. Si chiama Lega Centro con Giovanni Salvini, con chiari intenti di confondere l’elettore. Una linea politica chiara visto che la Lega di Salvini, che nel simbolo ha anche una ruspa, si presenta con Viva l’Italia di Tiziana Meloni e Grillo Parlante e Movimento per l’Italia. Marchetti, il candidato, non è in linea con i criteri del Codice di autoregolamentazione votato all’unanimità da tutti i partiti in commissione Antimafia: è infatti a processo per tentata estorsione, il processo inizierà a novembre.
Poi ci sono gli impresentabili tra i candidati del VI municipio della Capitale. Antonio Carone, candidato con la finta Meloni (Tiziana, di cui sopra), ha collezionato finora 8 condanne definitive, riporta la relazione dei commissari antimafia. Una di queste è per ricettazione (2 anni e mezzo la pena) e per questo Carone è incandidabile. La pena complessiva da scontare – e poi espiata – è stata di 6 anni, 10 mesi e 20 giorni. Domenico Schioppa, candidato con Iorio sindaco (Movimento Sociale Italiano), è stato invece arrestato in flagranza e poi condannato in primo grado, in abbreviato, a 2 anni e 4 mesi. Il reato è detenzione di armi. L’appello inizierà a ottobre 2017 ma nel frattempo, se eletto, dovrebbe essere sospeso dalla carica. Antonio Giugliano e Fernando Vendetti sono candidati per la lista Storace-Marchini sindaco. Al primo è stata inflitta una pena di due anni e mezzo per diversi reati (tra cui tentata estorsione), per il secondo sempre in primo grado i giudici hanno pronunciato una condanna a un anno e mezzo, sempre per tentata estorsione. Entrambi hanno fatto ricorso in appello, Storace dice di aver chiesto e ottenuto il “ritiro della candidatura”
A Roma c’è anche un candidato a sindaco che non ha violato la legge Severino, ma il codice penale sì: fu arrestato per furto in flagranza di reato nel dicembre 2013. Si tratta di Simone Di Stefano, vicepresidente di Casapound, che il 14 dicembre di 3 anni fa si portò via la bandiera dell’Unione europea nel corso di un blitz nella sede dell’Ue a Roma. Di Stefano fu poi condannato a 3 mesi. “È stato un gesto politico e continuo ad esporlo come se fosse una medaglia appuntata sul petto – ha detto il dirigente neofascista – Un arresto e una condanna per furto di una bandiera, quella europea, che per me ha il valore di uno straccio”. Non è impresentabile perché il furto non tra i reati del codice di autoregolamentazione dei partiti, mentre la legge Severino interviene solo in caso di condanne superiori a due anni.
Al nord sembra andare un po’ meglio, anche nei Comuni sui quali si è allungata l’ombra dell’infiltrazione mafiosa. A Finale Emilia, una delle amministrazioni toccate dall’inchiesta Aemilia, non ci sono né incandidabili né ineleggibili. A Diano Marina, in provincia di Imperia, che la Bindi ha definito la settima provincia calabrese, bisogna andare con più cautela. “Alcuni candidati appartenenti a più liste differenti” hanno “frequentazioni con soggetti gravati da precedenti penali e di polizia, nonché più specificatamente con personaggi riconducibili a storiche famiglie di ‘ndrangheta, come le famiglie Papalia e De Marte, in quest’ultimo caso anche con vincoli parentali”.
Quest’ultimo passaggio è dedicato a quasi tutti i Comuni di Calabria e Campania analizzati dalla commissione Antimafia. Il caso più noto e sul quale i parlamentari si spendono più a lungo è quello di Platì, in provincia di Reggio Calabria: qui tra gli altri si candida a sindaco Rosario Sergi che – scrivono i commissari – ha “rapporti di affinità” con due frange di una stessa cosca, la Barbaro. Tra gli “affini” anche il capostipite Francesco Barbaro, Cicciu u Castanu, quasi 90 anni, condannato tra le altre cose, per l’omicidio del comandante della stazione dei carabinieri di Platì. A Joppolo (Vibo Valentia) è andata meglio: l’ex sindaco Giuseppe Dato si vuole ricandidare, ma era finito ai domiciliari. Per fortuna gli hanno dato l’obbligo di dimora.