C’è la doppia consapevolezza di un modello che scricchiola e di uno sforzo sovrumano dietro la storia che viene dall’hotspot delle Termopili, nella Grecia centrale. Da un lato il disagio maturato da 300 siriani e da 190 afghani, ospitati in due strutture gemelle, che in Grecia però non vogliono restare, sognando di raggiungere parenti e amici in Germania. E dall’altro lo straordinario sforzo di solidarietà dei greci che, nonostante l’apnea per le precarie condizioni finanziarie e i nuovi tagli imposti dalla troika, non lesinano mani tese e accoglienza.
COME FUNZIONA L’HOTSPOT – Altro che le notti trascorse nel fango di Idomeni o nelle tende infuocate al sole del Pireo: a Termopili la Regione Fthiotida ha provveduto ad assicurare tre pasti caldi al giorno, wifi, tv via cavo e attività ludico ricreative per i bambini, con medici e paramedici che vigilano sugli ospiti a pochi passi dal luogo dove nel 480 a.C. Leonida e i suoi 300 spartiati si immolarono contro Serse e un milione di persiani. A presidiare sull’ordine e l’organizzazione dell’hotspot c’è Arghirò Pardalis, 35enne, dipendente precaria della Regione della Fthiotida. Ha un contratto di appena due mesi e se i risultati che otterrà in questo hotspot saranno soddisfacenti, potrà aspirare a un mini prolungamento di soli altri 60 giorni, senza però una prospettiva professionale di medio-lungo periodo, come d’altronde la gran parte dei 30enni greci.
“Quando i primi trecento siriani sono arrivati qui – racconta Arghirò al fattoquotidiano.it – erano disperati. Fuggire dalla guerra è un trauma“. Buona parte dei profughi non accetta uno status di semi-prigionia, al di là delle condizioni umanitarie nettamente migliori di quelle del campo di Idomeni. “Abbiamo detto loro che devono ritenersi fortunati, questo è un hotspot a 5 stelle paragonato al fango di Idomeni o al caldo folle delle tende giù al Pireo”. Qui le forze armate elleniche della vicina caserma di Lamia provvedono a fornire ai siriani tre pasti caldi, gli stessi che consumano i militari in caserma. I casi di ribellione e tensione, però, non sono mancati, soprattutto all’inizio: “Alcuni di loro fumavano con i neonati in braccio e buttando le cicche nella pineta, con il rischio di provocare un incendio. Chiedevano i pasti a qualsiasi orario e a volte rifiutavano quanto gli veniva proposto”. Dopo due mesi di accoglienza e solidarietà ecco che però hanno pian piano imparato a convivere con alcune regole dell’hotspot, anche grazie al lavoro certosino degli operatori. Il dato sociale di questa situazione è che nonostante il buon livello di permanenza assicurato dall’hotspot delle Termopili, i migranti non possono accettare la dura realtà, cioè che al momento non ci sono altre soluzioni all’orizzonte: anzi lo sgombero dopo settimane di silenzio del campo di Idomeni la dice lunga sulla mancanza di progettualità alla base dell’accordo con Ankara.
LO SFORZO ELLENICO – Di contro va sottolineato lo sforzo della Regione e dei volontari che organizzano attività ricreative per i bambini che è notevole, se comparato alla drammatica situazione economica in cui versa la Grecia. Un gruppo di volontari ha messo in scena uno spettacolo teatrale, con mimi e clown per i più piccoli, che sono quasi il 30% dei presenti. Ma il lavoro da fare è ancora molto e riguarda, appunto, la psiche dei migranti: “Alcuni giorni – sottolinea Arghirò – ci fanno trovare porte rotte e vetri dei magazzini infranti. Hanno persino buttato fuori materassi e cuscini che conserviamo in un prefabbricato qui accanto. Loro in Grecia non vogliono rimanere, questo lo capisco, ma dopo la chiusura della rotta balcanica e dopo l’accordo tra Ue e Turchia non ci sono alternative“.
Il vecchio hotel che oggi ospita i siriani fu fatto costruire anni fa dai Colonnelli e si affaccia sulle terme dove lo stesso Leonida si immerse prima della battaglia. Nei primi giorni di permanenza i siriani facevano bagni lunghissimi, nonostante i volontari gli avessero prescritto di immergersi solo per un quarto d’ora, dato che la temperatura dell’acqua è di 38 gradi. Dopo alcuni episodi di svenimenti e cali di pressione, hanno ascoltato il consiglio dei greci. Nella zona è stato aperto un altro hotspot gemello dove sono arrivati altri 190 migranti da Idomeni. E nei giorni scorsi, come ha confermato al fattoquotidiano.it il vice capo della Polizia regionale Takis Foufoulas, c’è stata una rissa fra diverse etnie, prontamente sedata. A controllare l’hotspot c’è una pattuglia di polizia, che presidia anche l’appello serale per nuclei familiari. Oggi in Grecia un poliziotto con responsabilità dirigenziali (un vice comandante per intenderci), arriva a guadagnare 1500 euro ma con turni di notte e fine settimana compresi.
Intanto Arghirò tenta di fare il suo dovere: “Vi confesso che per noi è tutto molto difficile, come anche per loro, ma ora abbiamo in mente di fare qualcosa per la loro mente. Vedete, l’ozio è una cosa pericolosa, già abbiamo avuto casi di depressione e di astenia da stress, per questo abbiamo pensato di avviare un programma di lavori sociali per impegnare la loro giornata. Puliranno l’hotspot, i bagni e cureranno il giardino”. Ma intanto, grazie alla tv via cavo e al wifi, guardano cosa si sono lasciati alle spalle. E giorni fa hanno potuto assistere al concerto con il direttore dell’orchestra del teatro Mariinskii di San Pietroburgo che ha portato a Palmyra la sua ensemble tra i resti della città della regina Zenobia.
VOLONTARI – Uno dei volontari più assidui nell’hotspot delle Termopili è il dottor Vassilis Kiriakakis, psicologo, deputato di Syriza sino allo scorso settembre quando ha aderito alla scissione dal partito di Tsipras condotta dall’ex ministro dell’Industria Panaghiotis Lafazanis. Alle ultime elezioni non ce l’ha fatta per un soffio. Assieme a sua moglie Dina Panagiotopulos, anche lei medico, visita l’hotspot ogni tre giorni spesso accompagnando con la sua auto i siriani nel vicino nosocomio di Lamia.
“Una criticità significativa è quella relativa alle visite ginecologiche”, racconta a ilfattoquotidiano.it, “le donne siriane preferirebbero una ginecologa donna, ma ciò non sempre è possibile a causa delle precarie condizioni del sistema sanitario ellenico, nei cui ospedali mancano molto spesso specialisti e perfino garze e bendaggi”. E aggiunge: “Si tratta di un problema incredibile, non so per quanto tempo i rifugiati potranno rimanere qui, vogliono andare in nord Europa per raggiungere parenti e amici, e noi tutti comprendiamo benissimo il loro disagio. Per questo motivo assieme ad un gruppo di medici volontari cerchiamo di non far mancare loro nulla dal punto di vita sanitario e sociale”.
*foto di Francesco De Palo