Un Paese in ginocchio che si rialza grazie al tennis. Anzi, grazie a quello che è sempre stato molto più di un semplice torneo, simbolo di una nazione e specchio delle sue vicende, nel bene e nel male. Il Roland Garros celebra il 70esimo anniversario della sua rinascita: nel 1946 l’Open di Francia tornava a disputarsi dopo sei anni in cui era stato cancellato dalle bombe della seconda guerra mondiale. Fu un’edizione strana, sofferta, a rischio fino all’ultimo: non c’erano cibo e vestiti, i tennisti più forti dell’epoca erano invecchiati, morti o sfibrati dal conflitto. Gli stessi organizzatori furono in dubbio se rinviare la ripresa a tempi migliori. Alla fine si giocò. E con la vittoria di Marcel Bernard la Francia tornò a sorridere e a credere in se stessa.
Dal 1891 l’Open di Francia si è sempre disputato. Con due sole interruzioni, in concomitanza delle due guerre mondiali a cui il torneo francese è intimamente legato: dal 1928 porta il nome di Roland Garros, celebre aviatore transalpino morto nella prima guerra mondiale. Fu la seconda, però, a causare lo stop più lungo e drammatico. Sei anni di nulla, dal 1940 al 1945: il 1946, esattamente 70 anni fa, fu la stagione della rinascita, dopo la liberazione e la fine della guerra. Per questo si decise di riprendere subito a giocare, nonostante il Paese non fosse ancora pronto. Fu un’edizione atipica: giocata ad esempio insolitamente a luglio, dopo e non prima di Wimbledon, proprio per concedere un po’ di tempo in più agli organizzatori in affanno. Quell’inversione, un unicum durato due anni, ebbe anche l’effetto storico di rompere il tabù della divisa sul campo da tennis: a causa del gran caldo, per la prima volta nella storia i giocatori si presentarono in pantaloncini corti sul centrale del Parc d’Auteuil, inaugurando una moda che resiste fino ad oggi. Del resto, la rivoluzione dei bermuda non rappresentava certo la maggior preoccupazione di giocatori e tifosi: “In quei giorni facevamo fatica a trovare persino i vestiti e il cibo”, ha raccontato Bernard Destremau, uno dei protagonisti di allora. “Fu il primo grande torneo del dopoguerra, giocato in condizioni che oggi nessuno può immaginare. Tanti atleti erano ancora denutriti e sottopeso, alcuni quasi svenivano a fine partita”.
Anche il panorama tennistico dell’epoca era stato stravolto dalla guerra e dal tempo. Don Budge, Fred Perry, Bobby Riggs erano passati professionisti. Henner Henkel, il tedesco campione a Parigi nel 1937, era morto a Stalingrado. Il suo connazionale, Gottfried Von Cramm, due volte vincitore nel ’34 nel ’36, era stato escluso per il suo passaporto tedesco, pur essendo stato sempre convinto oppositore del regime nazista. Al via c’erano tanti francesi, non certo favoriti dopo aver abbandonato la racchetta per anni. Il pronostico era dalla parte degli stranieri: del fortissimo cecoslovacco Jaroslav Drobny, uno che giocava indifferentemente a tennis (negli Anni Cinquanta avrebbe poi vinto due volte a Parigi e una a Wimbledon) e a hockey su ghiaccio (medaglia d’argento alle Olimpiadi invernali del ’48). Soprattutto degli americani, visto che negli Stati Uniti il tennis era stato appena sfiorato dalla guerra (gli Us Open furono l’unico Slam senza interruzioni).
Dietro al fresco vincitore di Wimbledon Yvonne Petra, la testa di serie n. 2 spettava a Tom Brown. Tra i protagonisti c’era anche Budge Patty, che solo due anni prima aveva combattuto nella Quinta armata per la liberazione di Parigi, era stato congedato a inizio 1946 e dopo pochi mesi aveva deciso di tornare in Francia con la racchetta in mano per il Roland Garros: lo avrebbe vinto 5 anni dopo, nel 1950. Ma nello stupore e nell’entusiasmo generale, in quell’edizione trionfò proprio un francese, il vecchio Marcel Bernard. “Essendo stati soggetti negli ultimi quattro anni alla propaganda del nemico, che ci ricordava ogni giorno come fossimo un popolo distrutto e finito, potremmo essere un po’ troppo inclini a perdere fiducia nel nostro valore e nella nostra forza”, scriveva alla vigilia René Mathieu sulla prestigiosa rivista Smash, che pure tornava a vedere la luce insieme al torneo. La vittoria di Bernard (l’ultima per i padroni di casa, prima del trionfo di Yannick Noah nel 1983) fu un momento storico per tutta la nazione: non rinasceva il Roland Garros o lo sport francese, ma la Francia intera.