Nell'ottobre 2014 il sottufficiale fu incaricato dalla procura di Rimini di sentire come persone informate sui fatti due ragazzi (residenti nel Bolognese) nell'ambito di una indagine per lesioni personali contro tre carabinieri della tenenza di Cattolica, in Romagna
Ha invitato il testimone sentito in caserma a essere evasivo e ha ammorbidito la versione messa a verbale per aiutare dei colleghi carabinieri finiti indagati per avere spaccato il timpano al suo amico. E’ questa l’ipotesi d’accusa con cui la procura della Repubblica di Bologna ha messo sotto indagine un maresciallo, all’epoca dei fatti in servizio a San Giovanni in Persiceto, alle porte del capoluogo emiliano.
Nell’ottobre 2014 il sottufficiale viene incaricato dalla procura di Rimini di sentire come persone informate sui fatti due ragazzi (residenti nel Bolognese) nell’ambito di una indagine per lesioni personali contro tre carabinieri della tenenza di Cattolica, in Romagna. A questo punto bisogna fare un passo indietro. Durante un processo per spaccio di droga contro un cittadino nordafricano, che si era tenuto a Rimini nel giugno 2014, uno dei due ragazzi (entrambi minorenni all’epoca dei fatti), sentito come testimone, aveva spiegato al giudice di avere visto un carabiniere dare un pugno all’orecchio al suo amico. Non solo, sempre davanti al giudice, aveva raccontato che i carabinieri avevano portato lui e l’amico in caserma e li avevano minacciati, intimando loro di dire che il timpano spaccato era dovuto alla caduta da una panchina.
Dopo la testimonianza a processo scatta quindi un’inchiesta per lesioni. Ed è nell’ambito di questa inchiesta che la procura di Rimini delega il maresciallo a sentire i due ragazzi. A questo punto uno dei due – stando all’accusa della procura di Bologna – sarebbe stato invitato dal carabiniere a essere evasivo e a ritrattare quanto detto in tribunale pochi mesi prima. Poi il militare redige un verbale da cui risulta che il giovane aveva visto il suo amico accasciarsi a terra tenendosi l’orecchio, ma non era affatto sicuro di chi lo colpì durante il blitz antidroga e se lo fece intenzionalmente. Non solo. Il maresciallo avrebbe evitato di mettere a verbale il nome di un terzo amico dei due ragazzi cosicché – secondo i magistrati – fosse difficile identificarlo e l’inchiesta per lesioni contro i colleghi venisse intralciata.
I reati contestati al maresciallo sono favoreggiamento, falso ideologico e rivelazione di segreto istruttorio. Quest’ultimo reato viene contestato perché a dicembre 2014, due mesi dopo l’audizione in caserma, il ragazzo che aveva parlato delle botte viene riconvocato in caserma dal maresciallo. Pochi giorni dopo infatti il giovane dovrebbe essere risentito a Rimini dai pm nell’ambito della stessa inchiesta e il maresciallo – secondo i pm bolognesi – teme che possa entrare in contraddizione con quanto verbalizzato in caserma. E per questo il maresciallo avrebbe rivelato al giovane i dettagli dell’interrogatorio del suo amico, allo scopo di prepararsi una versione da fornire ai pm di Rimini senza cadere in contraddizione.