Dopo la cessione del 35% a Cassa depositi e prestiti, il consiglio dei ministri ha dato il via libera all'ultima tappa. Seconda chance, senza alcuna nuova procedura di selezione, per gli istituti del consorzio che ha portato il gruppo in Borsa lo scorso ottobre guadagnando meno del previsto. Lo Stato, ai prezzi dello scorso ottobre, incasserebbe 2,5 miliardi
Via libera alla vendita in Borsa del 29,7% di Poste italiane che resterà ancora in mano al Tesoro dopo la cessione del 35% alla Cassa depositi e prestiti. Lo ha deciso il consiglio dei ministri di martedì sera, l’ultimo prima delle elezioni amministrative, che si è chiuso senza l’atteso decreto legislativo correttivo del Jobs Act sui voucher.
La cessione del 29,7% “potrà avvenire – si legge nel comunicato del cdm – anche in più fasi e si realizzerà attraverso un’offerta pubblica di vendita rivolta al pubblico dei risparmiatori in Italia, inclusi i dipendenti del Gruppo poste Italiane”. Come nel caso della prima tranche collocata sul mercato lo scorso ottobre, quando lo Stato ha incassato 3,1 miliardi contro i 3,7 preventivati, per favorire la partecipazione all’offerta dei risparmiatori e dei dipendenti “sono previste specifiche forme di incentivazione“.
L’altro deja vu riguarda le banche che gestiranno il collocamento: Fabrizio Pagani, capo della segreteria tecnica del ministero dell’Economia, intervistato da Il Sole 24 Ore spiega che “anche le banche del consorzio di collocamento (Banca Imi, Unicredit, Mediobanca, Citigroup, Bofa Merrill Lynch, Goldman Sachs, Morgan Stanley, Credit Suisse, Jp Morgan e Ubs, più Rothschild come advisor della società e Lazard del ministero) saranno le stesse, in linea con le operazioni fatte in passato, e questo non rende necessario ricorrere a una nuova procedura di selezione“. Seconda chance, dunque, per gli istituti che a novembre hanno dovuto rinunciare all’80% del loro compenso potenziale perché il titolo dopo la quotazione ha sofferto e sono state costrette a “sostenerlo” acquistando azioni a un prezzo più basso di quello previsto dalla loro opzione. Di conseguenza hanno poi esercitato il loro diritto di acquisto solo in piccola parte.
Alla fine delle due operazioni (il conferimento a Cdp per aumento di capitale e la quotazione) il Tesoro uscirà del tutto da Poste continuando però ad esercitare l’attività di indirizzo e di gestione della partecipazione che finisce sotto l’ombrello di Cassa Depositi Prestiti. Se la quotazione di questa seconda tranche dovesse attestarsi sui valori dell’Ipo dello scorso ottobre (6,75 euro ad azione) via XX Settembre dovrebbe incassare circa 2,5 miliardi di euro. Dopo la privatizzazione della seconda tranche il mercato deterrebbe il 65% del capitale della società di recapiti.